Progetto I.C.E. 2020: il bilancio di un anno complesso

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L’anno scolastico 2019-2020, seconda annualità del progetto triennale “I.C.E. – Incubatore di Comunità Educante, ha visto molteplici difficoltà attraversare il mondo della scuola e dell’educazione a causa della pandemia da coronavirus. Le criticità hanno però evidenziato anche una grande capacità di adattamento, in cui la didattica a distanza si è indubbiamente mostrata come una strada percorribile, seppur di per sé non risolutiva, né tantomeno sufficiente, rispetto alla complessità dei percorsi formativi.

Il bilancio che vorremmo qui offrire è frutto dell’analisi dell’Università di Bologna, che è responsabile delle attività di monitoraggio in itinere e di valutazione di impatto del progetto I.C.E.: attraverso 5 specifici focus group (di cui uno rivolto agli insegnanti e 4 agli operatori del terzo settore), l’ateneo ha effettuato una ricognizione delle attività realizzate sull’intera area metropolitana di Bologna, soprattutto in termini qualitativi, raccogliendo idee e impressioni espresse dai partecipanti al progetto: insegnanti, responsabili e operatori dell’educazione del terzo settore.

Se nella prima parte dell’anno scolastico le attività erano state realizzate come previsto (giungend o, per alcune fra queste, a conclusione), dalla fase di lockdown in avanti, le varie azioni previste dal progetto I.C.E. hanno subito forti rallentamenti e interruzioni ma, successivamente (anche se parzialmente), sono riuscite a rimodellarsi attraverso percorsi digitali a distanza e attività estive all’aperto organizzate in piccoli gruppi. Ciò di cui vorremmo fare tesoro dell’anno scolastico 2019-2020 è, quindi, una riflessione a 360 gradi non solo sulle singole attività e sul progetto che le contiene e coordina, ma soprattutto sul sistema della scuola, dell’educazione e della cultura di fronte alle nuove sfide educative poste dalla situazione emergenziale sia sul piano dell’innovazione della didattica sia, in prospettiva, sull’aggravarsi delle povertà educative. 

1) La prima riflessione, in termini di importanza, è quella relativa al nuovo mondo che gli adolescenti si sono trovati davanti e a come si è modificato il loro rapporto con lo studio e con i pari.

L’aspetto relazionale tra pari è quello che ha manifestato maggiori criticità durante la quarantena. I ragazzi hanno mostrato bisogno di sostegno educativo proprio in quanto molti di loro avevano perso l’accesso alle dinamiche relazionali interne allo spazio scolastico, dovendo rinunciare a frequentare molti dei loro amici. Questo ha rappresentato e rappresenta un punto di fragilità e un nodo importante da affrontare nei mesi a venire. In seguito alla pandemia, i ragazzi dovranno indubbiamente recuperare e ripensare la loro socialità in presenza.

In alcune situazioni di didattica a distanza, le classi si sono mostrate molto attive; in altre, alcuni studenti hanno preso le distanze dal lavoro scolastico, disattivando la telecamera o partecipando solo marginalmente. La didattica a distanza ha avuto effetti paradossali: da un lato, ha enfatizzato criticità preesistenti, dall’altro, ha portato alla luce questioni e processi inediti; ad esempio, il lavoro scolastico a distanza, in alcuni casi, ha permesso di emergere a studenti che spesso, in presenza, rimanevano in secondo piano, agevolando la loro capacità di concentrazione e di partecipazione all’attività scolastica.

Altri studenti, nel periodo di sospensione del voto, hanno lavorato con maggiore impegno e costanza, per poi peggiorare nel momento in cui si è tornati alla valutazione. In alcuni gruppi, la didattica a distanza ha favorito l’instaurarsi di un rapporto differente, più amichevole e meno formale con la figura dell’insegnante.

La didattica a distanza ha anche dato sollievo agli studenti che soffrono di ritiro sociale, ma in altri casi ha portato a vere e proprie situazioni di ghosting, in cui i ragazzi sono scomparsi e non hanno minimamente partecipato alle attività. Inoltre, in relazione allo strumento digitale, sono emerse sia difficoltà socioeconomiche (come la mancanza di schede sim, di dispositivi e di strumenti in genere), sia una carenza di competenze nell’utilizzo del computer, spesso sostituito dallo smartphone. Da non sottovalutare, inoltre, le oggettive difficoltà di connessione in alcuni territori (alcuni comuni del Distretto Appennino, per esempio, ma non solo) scarsamente coperti da reti sufficientemente veloci.

In termini psicologici e pedagogici, non va sottovalutata nemmeno la vergogna che alcuni ragazzi, durante le lezioni online, avevano di sé; non solo in relazione alla propria persona, ma anche e soprattutto in relazione ai loro spazi privati, alle loro case, al loro contesto familiare e alle loro stanze da letto. Con le attività a distanza si è entrati letteralmente nell’intimità della vita e delle case di studenti e ragazzi e sono emerse, a maggior ragione, quelle difficoltà quotidiane di chi vive in piccoli appartamenti o in condizioni familiari socialmente ed economicamente svantaggiate.

La didattica a distanza, dunque, come una sorta di luce al neon, ha illuminato determinati oggetti, lasciandone al buio altri e costituendosi sia come risorsa, sia come limite; ha portato soluzioni, ma anche fatto emergere problematiche e bisogni in parte nuovi e inediti che dovranno essere al centro della riflessione degli adulti e della comunità educante su come ri-pensare il futuro dei contesti educativi.

2) Strettamente connessa al tema degli adolescenti, si è imposta anche una riflessione sulla famiglia.

Già nella primissima fase di chiusura, è emerso come le famiglie che hanno risposto meglio alla pandemia e alla didattica a distanza, siano state quelle con maggiori risorse per far fronte al disagio. Le fasce in difficoltà sono invece rimaste spesso difficilmente agganciabili. La quarantena ha ampliato le diseguaglianze e fatto luce su bisogni sommersi, aumentando il numero di nuclei fragili che, in presenza, non manifestavano criticità o ne manifestavano in misura minore. Inoltre, molti genitori hanno dovuto rinegoziare con i loro figli le regole quotidiane rispetto all’utilizzo della rete, degli smartphone e dei dispositivi digitali in genere.

Le reazioni alla quarantena e al virus in sé, da parte di adulti e minori svantaggiati e con pochi strumenti culturali, sono state indubbiamente differenti proprio in termini di comprensione, portando, da una parte, a enfatizzare livelli di paura e di insicurezza molto gravi e, dall’altra, a comportamenti anche irresponsabili. Un utilizzo smodato e acritico dei social network come fonte di informazione ha sicuramente influito e contribuito al proliferare di paure e disinformazione. In un momento di forte e necessaria digitalizzazione, questa situazione ha fatto emergere le gravi conseguenze di un paese che, rispetto all’Europa, rimane fortemente indietro rispetto alle competenze digitali. Mai come in questo momento è stata evidente la connessione tra cittadinanza e digitale, una connessione che le agenzie educative non possono non tradurre in azioni concrete di tutela delle nuove generazioni e delle famiglie attraverso programmi diffusi di sviluppo, di competenze e di lettura critica della realtà anche e soprattutto nella sua dimensione virtuale.

3) Come terzo macro-tema si è affrontata una riflessione ad ampio respiro sugli insegnanti, sulla loro formazione e sulle loro competenze, così come in generale sul sistema scolastico nazionale.

La didattica a distanza ha permesso agli insegnanti di avere più tempo per riunirsi e confrontarsi sui metodi e sulla relazione con i ragazzi: un modus operandi che non può che aumentare la qualità dei percorsi educativi e formativi e che andrà valorizzato nel post-pandemia. Durante l’emergenza, sia a livello metodologico che di competenze tecniche, in virtù dei bisogni emersi, sono stati fatti parecchi passi in avanti rispetto a una cronica arretratezza della scuola nell’uso delle nuove tecnologie a fini didattici, ma la riflessione sull’innovazione e sui nuovi strumenti deve proseguire non tralasciando una lettura critica che deve considerare l’impatto di tali processi non solo nella formazione individuale ma nello sviluppo di comunità. La didattica a distanza non può e non deve imitare la didattica in presenza ma deve trovare strumenti e metodi propri.

Potrebbe risultare utile un lavoro di mappatura degli strumenti digitali utilizzati e utilizzabili, in modo da individuarne vantaggi e svantaggi e capire quali siano quelli che hanno funzionato maggiormente in modo da individuare i migliori e poterli riproporre. Durante la ripresa delle attività in presenza, una priorità potrebbe sicuramente essere l’istituzione di un maggior confronto tra docenti, al fine di condividere professionalità, visioni, competenze e strumenti. Sarebbe anche opportuno svolgere percorsi di formazione specifica per gli insegnanti sulla comunicazione online, sull’uso della telecamera, della prossemica e del non verbale, così come sull’implementazione della fruibilità delle lezioni e di forme di partecipazione attiva al fine di rendere la didattica maggiormente capace di destare l’interesse degli studenti.

4) Un’ultima riflessione è quella relativa ai professionisti del terzo settore che, in una situazione di lavoro inedita come quella dello scorso anno scolastico, hanno fatto i conti con nuove competenze, aggiornamenti, formazioni e rimodulazioni del proprio lavoro.

Molte associazioni e cooperative, durante l’emergenza sanitaria, hanno imparato ad uscire dal loro schema di lavoro e ad elaborare novità con l’obiettivo di conseguire una maggiore efficacia delle loro azioni educative. A seconda delle possibilità e degli strumenti, il terzo settore si è mostrato capace di grande spirito di adattamento al nuovo contesto e alle necessità emergenti, avvalendosi anche di fasi di autoformazione.

La situazione di emergenza e di crisi può, e deve, rappresentare un’occasione volta a ripensare il ruolo dell’istruzione e della formazione, valorizzando le esperienze laboratoriali e partecipative che il terzo settore da tempo porta avanti all’interno della scuola e rafforzando un sistema educativo integrato ormai pronto a un dialogo forte tra territorio e scuole. In questi mesi, si è toccato più volte il tema per cui il numero degli alunni in presenza all’interno di una classe andrebbe ripensato, ma tale ripensamento non dovrebbe essere mosso esclusivamente da esigenze sanitarie ma anche dal fine di voler offrire nuove risposte a bisogni educativi e formativi riguardanti un’età complessa come quella adolescenziale. Inoltre, sarebbe opportuno svolgere un’analisi quantitativa su quanto e come l’emergenza sanitaria abbia impattato sulla dispersione scolastica. Sarebbe davvero poco lungimirante ripartire come se nulla fosse successo.

Pur non nascondendo difficoltà forti (specie sul fronte degli adeguamenti strutturali dovuti ai protocolli sanitari che si sono succeduti lungo il 2020 e che, a seconda dei casi, hanno comportato un impegno finanziario non lieve, così come le problematicità della comunicazione tra i diversi interlocutori che spesso sono state tra le cause di sospensione temporanea delle attività offerte dal territorio alle scuole), il terzo settore ha rappresentato e rappresenta quella prossimità che, in fase di distanziamento fisico, ha agevolato e talvolta permesso la vicinanza sociale. Al fine di fronteggiare i problemi inediti che si sono affacciati nel quotidiano, la lettura e l’ascolto dei bisogni emersi, insieme alla capacità dinamica e flessibile di co-costruire dispositivi con l’utenza, con il pubblico e con la scuola, rendono il terzo settore il partner fondamentale, all’interno di un processo sia di comunicazione tra scuola e territorio, sia di ridefinizione delle strategie verso un modello diffuso e inclusivo di sostegno alla crescita.

Questo patrimonio di esperienze, riflessioni e impegno a sostegno dei processi educativi e scolastici – al centro delle priorità del progetto I.C.E. – costituisce una risorsa cruciale per la scuola e per il suo ruolo all’interno della società. A tale risorsa è importante riconoscere un contributo strutturale e non meramente aggiuntivo nei percorsi formativi degli adolescenti. Alla fine di un anno complesso che ha evidenziato la necessità di affrontare in modo innovativo i bisogni educativi, formativi e relazionali degli studenti, occorrerà riservare una particolare attenzione alle realtà che, nonostante tutto, fanno della messa in rete di esperienze educative diverse lo strumento per la piena cittadinanza dei più giovani e, al tempo stesso, di sviluppo di comunità.

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