SUPPORTO ALLO STUDIO: LA VICINANZA AI TEMPI DEL COVID-19

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Gli arteducatori e le arteducatrici della cooperativa Tempo per l’Infanzia hanno condiviso con noi un DIARIO REMOTO per raccontarci come si è trasformato il servizio di affiancamento allo studio portato avanti nell’ambito di Progetto DOORS nella modalità asincrona imposta dalle regole di distanziamento fisico da lockdown.

Quali sforzi comporta rimodulare questo tipo di attività continuando a garantire la promozione del benessere dei minori e il sostegno alla genitorialità? Come stanno reagendo i vostri ragazzi nel vivere questo tempo sospeso? Quali difficoltà hanno trovato nel costruirsi una nuova quotidianità con le proprie famiglie? Come si è trasformata la relazione con gli operatori? L’Arteducazione può continuare  a prevenire il disagio sociale e la dispersione scolastica, anche “da remoto”?

Quattro racconti con lo sguardo di Marco Muzzolon, Elisabetta Doneda, Lorenzo Sartori e Marzia Alati.

 

CRONACHE DI UN TEMPO REMOTO
di Marco Muzzolon

Oggi è lunedì.
Oggi so che devo incontrare K.H, H.Z, A.M e N.R. Prima di incontrare N.R devo anche sentire il Prof. M.G. e la Professoressa G.T. Se riesco, molto velocemente sento la coordinatrice di K.H. Eravamo d’accordo che le avrei riferito quanto deciso con K.H. sul percorso iniziato da poco.

Non sono ancora le nove di mattina e già il mio telefono si carica di messaggi whatsapp.
Uno, due, tre, quattro… li leggo…

“Oggi questi compiti”. “Alle cinque?”
Rispondo “Va bene!”
“Possiamo 5 mezza?”
Ri-rispondo “Va bene!”
“Allora 5 mezza ciao”.

Guardo il materiale che mi è arrivato. La Russia Europea: confini, catene montuose, la popolazione, la superficie. Cancellare le parole sbagliate, verificare che il Volga sfoci effettivamente in un delta e non in un estuario. Cerco di ingrandire, l’immagine che mi è arrivata si sgrana, fatico a vedere, a leggere. Non ho il libro sottomano, la foto segue la curva della pagina, l’immagine diventa un’anamorfosi.
Ieri eravamo nel pieno del Barocco tra Vivaldi e Handel, oggi qui, tra gli Urali e il Mar Caspio. Caspita! Mi verrebbe da dire!

In questo momento seguo sette ragazzi, quattro ragazze egiziane e tre ragazzi italiani. Ci conosciamo perché le ragazze frequentavano lo Spazio Arteducazione, mentre i ragazzi erano all’interno di Progetto DOORS, alla scuola I. C. Pini.

“Erano, seguivano, frequentavano, conoscevamo… tutti verbi coniugati al passato”, prima del Coronavirus.
La grammatica insegna che il verbo è “la parte variabile del discorso che indica un’azione, un modo di essere o uno stato del soggetto, collocandolo in un tempo preciso: passato, presente, futuro.
I nostri modi di essere sono cambiati, le nostre azioni sono cambiate, il nostro modo di lavorare è cambiato, si lavora da “remoto”.
Per paradosso, il “remoto” non è un tempo verbale del passato, ma del presente.
Oggi lavoriamo con i ragazzi da remoto.
Luogo di lavoro: tavolo dello studio, tavolo del salotto, sul letto in cameretta, fuori in balcone, in bagno, tutti luoghi trasformati in spazi studio.
Strumenti: cellulare, computer, qualche libro, fogli, penne e matite. I ragazzi sono molto precisi, molto attenti all’orario, puntuali.

“Marco oggi mi chiami?”
“Certo, alle 14.00,  mancano ancora 5 minuti!”
Devo stare attento all’orologio, la scaletta va rispettata, non vorrei arrivare in ritardo, non è bello arrivare in ritardo al telefono o al computer. Non ci sono più le vecchie scuse di una volta! Non si può dire ho trovato traffico, mi hanno trattenuto, non avevo batteria, ho lasciato a casa il materiale.

L’unica assenza che ha fatto una ragazza è stata motivata con: “Ho un po’ di febbre…” E in questo periodo di coronavirus nasce subito la preoccupazione: “Ma senti anche altri sintomi?…. Mi raccomando, fammi sapere! Ciao a domani”.

“Ciao!” è la parola chiave che più di ogni altra caratterizza questo momento. “Ciao!” è l’inizio di tutte le conversazioni, la parola magica, è l’“Apriti Sesamo!” delle fiabe. È “Gli stivali delle Sette Leghe” che in un attimo mi fanno entrare in una casa, e poi subito in un’altra e in un’altra ancora. Senza muovermi da casa mia, entro nelle case degli altri. Alcune le vedo, altre le sento. In quelle che non vedo sento mamma M. che sta preparando il pranzo, mentre O. e Y. giocano, urlano, corrono e fanno danni. Seguono urla di madri e padri che si inseriscono in maniera esotica al riassunto della sesta giornata-quarta novella del Decamerone, la novella dal titolo “Chichibio e la gru”.

Il “…come stai?” arriva

subito dopo il “ciao”. Si capisce dalla risposta la stanchezza dello stare in casa, il senso di mancanza con il fuori, la noia, il desiderio di risposte da un’altra fonte che non sia il fratello maggiore o l’amica lontana o il papà che quando non c’è coda al supermercato va a comprare la pizza o il “cicolato”.

“Marco, ma è vero che noi

piccoli stiamo in casa fino al 2024?”
“Spero proprio di no! Ma chi te lo ha detto?”
“Mia cugina che sta in Eg

itto!”
“No, dai, forse ha capito male, tra poco usciremo, torneremo a correre… Cosa devi fare oggi?”
“Devo fare Arte, graffito con scritto: Andrà tutto bene!”
“Oh, benissimo, dai, facciamo il “graffito” per Arte, prendi matita e colori, quelli dell’Arcobaleno e cominciamo a scrivere che andrà tutto bene!”

Sono sicuro che andrà bene, e sarà bello rivedere dal vivo i sorrisi di questi “personaggi”, protagonisti di queste mie giornate remote e mai monotone.
“Ciao!”

 

ASPETTA, TE LI PRESENTO
di Elisabetta Doneda  

 

Cielo, Amany, Propa, Kashfa, Asmaa, Habiba, John Carlo sono i ragazzi del sostegno allo studio che seguo a distanza in questa lunga quarantena. Ci sentiamo via Skype o via Whatsapp con appuntamenti in giorni e orari fissi che loro rispettano sempre. Si fanno trovare pronti, magari sul letto, improvvisato come spazio studio. È tutto pronto: il quaderno, le penne, la calcolatrice, i fogli di brutta. Questi non devono mai mancare, perché, prima di svolgere un compito, prima di rispondere ad una consegna, hanno imparato che è bene lasciar scivolare sulla carta traccia delle loro preziose intuizioni, dei loro piccoli e grandi ragionamenti passaggio per passaggio, magari con un disegno o una parola chiave, perché tutto può essere di aiuto e perché niente vada sprecato.
Non lo nego, è faticoso.
La connessione, prima di tutto, spesso fragile.

“Mi senti?” “Ti sento”.
”Ma mi vedi?” “Sì, ti vedo. No, aspetta, ora non più”.
E intanto il tempo mica ti aspetta.

E poi: “Habiba, apri il libro al capitolo delle scomposizioni” “A che pagina?”
“Non lo so, il libro ce l’hai tu” “Ma io non lo trovo, il capitolo!”
“Ok, tranquilla, lo cerchiamo insieme. Gira il libro verso la telecamera e fammi vedere l’indice”.
Lei gira il libro e poi mi mostra il suo ditino, soddisfatta, perché i nomi delle dita della mano in italiano lei li ha imparati. E poi ridiamo insieme del nostro buffo qui pro quo.

Le difficoltà dunque ci sono, nessuno lo nega, ma adesso non ci preoccupano più: ci siamo abituati, abbiamo preso il giro, ci siamo adattati ai nuovi mezzi.

Niente può sostituire la vicinanza fisica con i nostri ragazzi, è una condizione alla quale non vogliamo e non dobbiamo rinunciare, ma in questo momento di emergenza, abbiamo scoperto un nuovo modo di stare insieme. Anche lo schermo del computer o del cellulare ci permette di stare vicini. È una finestra che si apre sul loro quotidiano, sulle loro case (quanti tour virtuali mi hanno fatto fare!) e sulle loro famiglie: un genitore che passa sullo sfondo, saluta e ringrazia, ringrazia sempre. Una sorellina intraprendente che spunta all’improvviso e che devi assolutamente conoscere.

“Questa è Fatima!, ma poi ci sono anche Noura, Laila e Mohamed, aspetta, te li presento”.
E questo è bello.

 

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