Intervista con Anna Mattiuzzo, referente per l’associazione La Strada – Der Weg per il progetto “Il Ponte – die Brücke”

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Il progetto “Il Ponte – die Brücke”, nato in risposta al bando “Un Passo Avanti” e finanziato dalla fondazione “Con i Bambini”, prevede l’inserimento di educatrici ed educatori a fianco delle insegnanti di classe in 10 scuole materne di lingua italiana e tedesca della provincia di Bolzano. Un progetto pilota di durata triennale che permetterà di svolgere un’importante lavoro di prevenzione al disagio contattando circa 870 bambini e relative famiglie. Oltre a “La Strada – Der Weg”, che funge da ente capofila, sono coinvolti anche i seguenti partner di progetto: Fondazione Südtiroler Kinderdorf ONLUS; Forum Prevenzione; Cooperativa sociale EOS; Arciragazzi Bolzano; Libera Università di Bolzano – Facoltà di scienze della formazione


Ciao Anna, prima di tutto spiegaci meglio il tuo ruolo in questo progetto
Il progetto vuole coniugare il privato sociale e il mondo delle scuole dell’infanzia pubbliche per promuovere il benessere dei bambini e prevenire la povertà educativa. Le varie associazioni che vi prendono parte hanno creato una sorta di organigramma in cui ci sono i coordinatori della parte più operativa ed educativa e i coordinatori della parte più amministrativa e burocratica. Io sono coordinatrice per l’Associazione La Strada-der Weg, quindi mi occupo di coordinare, sostenere e rinforzare le nostre educatrici; inoltre, condivido con gli altri educatori le tematiche che emergono in un costante confronto funzionale alla riuscita del progetto. Noi coordinatori, insieme agli operatori stiamo cercando di delineare i limiti e le possibilità dei nostri ruoli nel rispetto dei contesti in cui andiamo ad operare, quindi per questo è necessario che il confronto sia continuo, costante e fortemente riflessivo.

Finalmente, nonostante il covid, il progetto è entrato nella fase operativa. Raccontaci
Certo: faccio un passo indietro nel tempo, perché prima di inserire gli educatori nelle classi abbiamo voluto organizzare un primo livello di incontro e conoscenza tra operatori e team educativo delle scuole dell’infanzia e l’abbiamo fatto attraverso una formazione comune svolta nei mesi di novembre e dicembre 2020. I partner di progetto, utilizzando le proprie competenze, hanno offerto agli insegnanti delle scuole dell’infanzia e ai propri educatori dei moduli formativi, che sono risultati uno più interessante dell’altro.

Li possiamo elencare?
Volentieri: l’università di Bolzano ha affrontato il tema delle alleanze psicoeducative tra la scuola e la famiglia, Il Forum Prevenzione ha parlato di prevenzione e riconoscimento del trauma e dei cambiamenti della famiglia all’interno della società; Il Kinderdorf ha approfondito la tematica della competenza relazionale, Il centro “Il Germoglio” dell’associazione “La Strada – Der Weg” ha evidenziato i problemi relazionali e psicologici causati dal distanziamento dovuto al covid.
Un ulteriore momento formativo è stato dedicato all’informazione degli insegnanti sulla specificità del progetto il Ponte – Die Brücke. In fondo ogni scuola dell’infanzia è un piccolo microcosmo a sé stante ed è di fondamentale importanza che gli insegnanti comprendano le potenzialità del progetto e lo possano calare al meglio nella loro realtà specifica.

Secondo te ci sono i presupposti per una buona collaborazione?
Perso di sì. Personalmente ho colto già un’importante segnale, che ho interpretato come la restituzione di una cortesia: dopo aver usufruito della formazione di cui abbiamo appena parlato, le dirigenti Paola Segala e Renate Kollmann hanno realizzato un bellissimo momento formativo rivolto ai partner di progetto per spiegare come è organizzato il mondo della scuola dell’infanzia in Alto Adige e quali sono le sostanziali differenze tra i settori italiano e tedesco.

Dicevi appunto che le varie scuole non sono tutte “uguali”….
Certo, come tutti i contesti lavorativi, pur attenendosi a linee guida comuni, sono caratterizzate dalle persone che vi lavorano. Questo si è visto anche da come le educatrici, provenienti dall’esterno, hanno colto queste differenze e peculiarità, organizzando i loro “ingresso” in modo diverso. Alcuni hanno ad esempio iniziato con una fase di osservazione, mentre altri hanno valutato di mettersi in gioco partecipando da subito attivamente alla quotidianità del gruppo bambini a scuola

Dunque il bilancio di questa prima fase è totalmente positivo o c’è qualche difficoltà da superare?
È sicuramente un fatto positivo che il progetto sia partito in tutte le scuole rispettando la tabella di marcia, che è stata più volte riadattata alla restrizione imposte dalla pandemia. Notiamo qualche difficoltà in più nei grandi asili di città, rispetto a quelli più piccoli dei paesi. Mi spiego: negli asili grandi c’è più dispersione, i numeri sono maggiori e ciò rende il lavoro di costruzione delle reti tra scuola, famiglie e territorio un po’ più difficoltoso, mentre nei paesi le reti spesso esistono già e l’educatore deve solo saperci entrare e diventare lui stesso una nuova risorsa.
Io che mi trovo a gestire due realtà molto diverse, una Bolzano e l’altra a Salorno noto molto bene questa differenza. In città è più faticoso vincere una certa iniziale e comprensibile resistenza. In paese la comunità è più piccola, ma spesso più attiva ed è più facile che una mamma ne informi un’altra: “Guarda che c’è questo muovo progetto,…se vuoi c’è un’educatrice che ti può consigliare”, ecc..

Dunque sarà importante il lavoro di sensibilizzazione sul territorio
È corretto. Soprattutto nei grandi centri sarà importante che gli educatori informino il territorio (nei luoghi istituzionali e informali frequentati dalle famiglie) sulla valenza del progetto.  A tal proposito sono stati stampati molti volantini che verranno distribuiti il più capillarmente possibile. Non dimentichiamo che già consegnando del materiale informativo si entra in relazione con la persona, ci si presenta, si diventa riconoscibili in quel determinato territorio e si viene gradualmente collegati all’iniziativa che si vuole promuovere.

Si sta già verificando uno step importante previsto dal progetto e cioè che l’educatrice oltre che dentro la scuola diventi una risorsa attiva anche fuori dalla scuola?
Per quello che vedo io, posso rispondere positivamente. A Salorno ad esempio è successo più volte che l’educatrice abbia effettuato delle visite domiciliari per aiutare varie famiglie in difficoltà nell’ utilizzare i supporti informatici. E la cosa positiva è che questi ed altri interventi sono nati dall’ottima sinergia che si è instaurata tra lei e la coordinatrice della scuola dell’infanzia, che quotidianamente le chiede, nel rispetto dei ruoli, di collaborare per superare qualche situazione problematica

C’è il rischio che l’educatrice o l’educatore venga indirizzato prevalentemente sui bambini “certificati”, quasi come fosse un insegnante di sostegno aggiuntivo?
C’è un po’ questa tendenza ed è comprensibile perché il bambino “certificato” è visto dagli insegnanti come quello più bisognoso di aiuto, ma gli educatori hanno invece molto chiaro che la specificità di questo progetto sta nel dedicarsi all’intero gruppo classe, anche perché non solo i bambini con una certificazione possono vivere delle situazioni di disagio. Grazie a questo approccio ad esempio, in una scuola l’educatrice si è accorta che un bambino aveva qualche difficoltà a distinguere i colori.

Come stanno convivendo secondo te queste due figure professionali: l’educatrice e l’insegnante?
Penso che la formazione comune di cui parlavamo prima abbia avuto il grande merito di abbassare se non di annullare il muro protettivo che si tende a porre quando si ha a che fare con qualcuno di nuovo e di fare in modo che nessuno dei due veda nell’altro una figura “giudicante” o una risorsa da sfruttare. In questo senso c’è molto rispetto e questo è il presupposto ideale per una buona collaborazione.

Nel gruppo degli educatori ci sono più uomini o donne?
Sono tutte donne tranne un unico uomo e questo è un dato che riflette la attuale presenza di genere nelle professioni di cura. È un gruppo che una volta al mese si ritrova in una sorta di supervisione informale dove ci si confronta condividendo le proprie esperienze, cercando di dare e ricevere suggerimenti per il proprio operato.

Concludendo cosa ti piace di più di questo progetto?
La sua versatilità e elasticità: giocando un po’ con le parole penso di poter dire che in ognuna delle dieci scuole coinvolte c’è un “ponte” diverso. E visto che stiamo giocando con le parole ti annuncio che con tutti gli educatori convolti abbiamo coniato una parola nuova per descrivere la figura educativa nel progetto “Il ponte – Die Brücke”: si chiama “educational networker”, che si potrebbe tradurre con ”operatori di rete dal punto di vista educativo”. Non ci siamo limitati ad inventare un nuovo nome, ma abbiamo scritto un documento approvato da tutti i partner in cui descriviamo il profilo professionale di questa figura.

Tornando alla quotidianità come prosegue il progetto?
Gli educatori cercheranno di diventare sempre più operativi, appena sarà possibile, soprattutto sul territorio organizzando momenti di incontro e animazione per bambini e famiglie.

Una tua valutazione?
Al momento è positiva. Oltre al buon feeling con le scuole al quale accennavo prima, mi piace la collaborazione che si è instaurata tra i partner di progetto: pur nelle diversità e difficoltà ci confrontiamo e riusciamo a collaborare in modo produttivo, prendendo da ogni partner le risorse più funzionali alla riuscita del progetto.

 

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