Saper Comunicare con i figli

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Cosa significa comunicare? C’è una grossa differenza tra “parlare” e “comunicare”: chi parla si pone sul piedistallo della comunicazione senza necessariamente preoccuparsi di colui che ascolta: comunicare significa far capire ad altri il nostro messaggio attraverso parole, immagini gesti. Comunicare significa etimologicamente “mettere qualcosa in comune”, trasferire il proprio patrimonio di conoscenze, di aspettative, di sentimenti, di progetti eccetera, da un ambito ristretto e personale ad una regione di fruizione più ampia di condivisione con altre persone nel gruppo.

La comunicazione tra genitori e figli, fondamentale per la loro crescita ed il loro sviluppo, è soggetta alle diverse fasi del ciclo vitale che la famiglia attraversa. Dialogare con un bambino non è la stessa cosa che dialogare con un adolescente: cambia la relazione (da adulto-bambino ad adulto-giovane adulto), cambia il contenuto (c’è una maggiore contrattazione), e spesso, purtroppo, cambia la predisposizione del genitore all’ascolto ed alla comunicazione nei confronti del figlio adolescente considerato “ancora troppo piccolo” per poter prendere delle decisioni.

Relazionarsi con un bambino implica una costante condivisione educativa ed una certa congruità tra ciò che gli si comunica verbalmente e ciò che gli si comunica col non verbale: il bambino deve, cioè, comprendere che ciò che gli viene detto viene messo in pratica in primis dai genitori d’accordo sulle modalità e sui contenuti educativi.

Relazionarsi con un adolescente, scosso dai cambiamenti fisici e psichici propri di questa fase, spinto dalla ricerca e costruzione di una propria “identità” sociale, ancor prima che familiare, implica, invece, l’accettazione di un “nuovo adulto” altro da ciò che siamo.

Quante volte riusciamo ad ascoltarli senza esprimere giudizi? Senza prendere posizioni, dare consigli, o proporre frasi fatte?

Quante volte, di fronte ad una semplice affermazione o richiesta, i genitori si sentono rispondere dai propri figli con un sonoro “no” o incontrano come reazione il classico “muso lungo”? Spesso i genitori hanno la sensazione di non essere ascoltati, di non riuscire a farsi capire, di dover ripetere le cose centinaia di volte…

 

Un esempio di comunicazione disfunzionale

Brave – Io sono la regina. Tu devi ascoltare me!

https://www.youtube.com/watch?v=Lr-2wqtikX8

 

 

 

 

 

 

Comunicare con i figli sembra a volte un’impresa impossibile, ma prima di attribuire ai bambini tutta la responsabilità, affermando che non ci vogliono ascoltare o che fanno apposta a fare il contrario di ciò che chiediamo loro, soffermiamoci a riflettere: e se la comunicazione degli adulti non fosse efficace perché i bambini hanno modi diversi di comunicare? Per comunicare con i figli in modo efficace bisogna prima di tutto saper ascoltare.

Quando i genitori comunicano efficacemente con i figli, mostrano di avere rispetto per loro e quest’ultimi percepiscono di essere ascoltati e capiti: elementi importantissimi per sviluppare la loro autostima. Se non usata bene, però, la comunicazione può avere effetti negativi, in quando si possono trasmettere informazioni errate, ignorare o negare sentimenti, trasmettere paura, dubbio, confusione, percependo di non essere importanti, non essere ascoltati o non essere capiti.

È importante ricordare che il genitore, in quanto adulto, si trova necessariamente in una posizione asimmetrica rispetto al bambino. Comunicare con i figli esercitando questo potere gerarchico non fa altro che ostacolare la comunicazione stessa: l’adulto decide e impone, mentre il bambino si adegua senza potersi esprimere liberamente, percepisce la comunicazione come imposizione e vive un senso di profonda frustrazione. Per comunicare efficacemente si deve instaurare una relazione simmetrica, in cui il bambino gode della medesima dignità e considerazione dell’adulto, trovando risposta ai bisogni espressi. Il sostegno maggiore è dato dall’essere ascoltato fino in fondo, dal sentirsi compreso, appoggiato e contenuto e dalla possibilità di confrontarsi con l’adulto quando questi ha un’opinione diversa dalla sua.

L’“ascolto efficace” è alla base della “relazione empatica” in cui, condivisa una preoccupazione o una problematicità, l’adulto, ponendosi nei panni del figlio, lo aiuta ad analizzare risorse ed ostacoli delle possibili soluzioni, rimandando però a lui la scelta della soluzione che ritiene migliore in quella situazione. Ascoltare in modo empatico significa accogliere senza giudicare: l’ascolto empatico, infatti, richiede al genitore di concentrarsi sul bambino, sul suo stato emotivo, concedendogli e riconoscendogli il tempo per esprimersi e sentirsi quindi sempre accolto e accettato, senza dover essere oggetto di un giudizio morale.

Alcuni suggerimenti utili per i genitori sono di ascoltare le emozioni e non i fatti: un figlio preoccupato, triste o in difficoltà, non ha la capacità di esprimere al meglio le sue emozioni. Più il bambino è piccolo e più dovrebbe essere usato un linguaggio semplice. Bisogna tener presente anche che i bambini dai 2 ai 7 anni pensano in modo molto concreto, spesso irrazionale e magico. La loro mente non è ancora capace di utilizzare la logica e di dare un senso alle cose, così come siamo abituati noi adulti. Tra gli 8 e i 12 anni la logica dei bambini è ancora molto concreta e basata su quello che possono sentire, toccare, vedere e collegare alla loro vita quotidiana.

Anche il drammatizzare, ovvero farsi prendere dal panico o sentirsi impotenti rispetto alla sofferenza del figlio, va evitato in quanto non offre validi punti di riferimento e non stimola la fiducia nei “grandi”. Avere una coerenza tra il linguaggio verbale e quello non verbale, quindi tra parole e gestualità, postura, sguardo.

Indagare non darà alcun risultato: l’uso dei “perché” denota l’inquisizione e quindi il giudizio. Argomentare utilizzando frasi come “Quale può essere una soluzione”, “Cosa puoi fare”, “Cosa posso fare”, “Come posso aiutarti”, aiuta a trasformare il significato della comunicazione, in cui il figlio vive la sua difficoltà in modo attivo e sente di poter avere delle competenze. Il problema viene vissuto, quindi, come temporaneo e aperto alla soluzione.

Solitamente, all’arrivo della pubertà, i figli manifestano un cambiamento nello stile della comunicazione che non di rado va proprio in direzione di una caduta del dialogo: molti sembrano realmente cessare di parlare di sé con i propri genitori.

È una fase naturale dello sviluppo personale, poiché ora il figlio avverte il bisogno di mantenere alcuni suoi vissuti in uno “spazio interno riservato”, e insieme di sperimentare l’esperienza nuova di una confidenza con coetanei.

Questa temporanea caduta del dialogo tenderà a tornare simile allo stile precedente a meno che non si associ con altri segnali importanti di disagio. Pur essendo un passaggio obbligato nella crescita verso l’individuazione, molti genitori tendono a cercare ogni mezzo per porvi rimedio: dall’“elemosinare” qualche parola al porsi di continuo domande sui propri possibili “errori”.

Ci sono dei piccoli accorgimenti che possono abbassare i livelli di tensione: accade molto spesso che un genitore sminuisca ciò che accade, che vive, che racconta il figlio. Fare tutto ciò equivale a sminuire la sua persona. Bisogna imparare a guardare il mondo con i loro occhi, il che significa comprendere il loro mondo e quanto una cosa possa essere realmente importante o quanto venga strumentalizzata per ottenere determinate cose. Puntare sempre al dialogo ed al confronto capendo che anche loro hanno diritto di parola anche se non si condivide ciò che dicono, perché bisogna farli parlare ed esprimere. Se non si esprimono si comprimono e la repressione li porta a mettere in atto anche comportamenti che non dovrebbero mettere, anche in opposizione nei confronti delle regole e delle imposizioni genitoriali. Le frasi da non dire ad un adolescente sono quindi quelle frasi fatte che alimentano il conflitto genitore figlio adolescente tipo il “te l’avevo detto”, “sei grande quando ti pare o quando ti fa comodo”, “fossero tutti questi i problemi della vita”, “perché lo dico io”, “non mi devi parlare in questo modo perché sono tuo padre o perché sono tua madre” e via dicendo.

Ricordiamo sempre che le parole, dette o pensate, hanno un immenso potere: possono esprimere fiducia, orgoglio, passione, gioia.. ma possono anche ferire, giudicare, bloccare, scoraggiare.

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