La scuola fuori dalla scuola

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“A moltissimi giovani il contesto famigliare non offre più un punto d’appoggio sicuro nella vita, le scuole restano il solo istituto al quale la comunità può rivolgersi per correggere le carenze di competenza emozionale e sociale dei ragazzi, poiché quasi tutti i bambini vanno a scuola, essa dovrebbe essere un luogo che permette di raggiungere ognuno di loro per fornirgli lezioni fondamentali per la vita che, altrimenti non potrebbe mai ricevere” (D. Goleman)

 

Facciamo il punto della situazione a circa un mese dall’inizio della “reclusione forzata”.

Sin da subito si è parlato di DAD, didattica a distanza, per ogni ordine e grado di scuola. Ma l’Italia è stata presa alla sprovvista in questo senso. Sappiamo bene che sono poche le realtà scolastiche in cui, a prescindere dall’attuale situazione, la didattica a distanza si integrano con quella tradizionale. La stragrande maggioranza dei docenti, invece, continua a svolgere attività in aula, con libri, sedie e banchi.

Inizialmente alcuni insegnanti, presi alla sprovvista hanno utilizzato WhatsApp per restare in contatto con i propri alunni, soprattutto per quelli della primaria, altri hanno atteso le direttive dei dirigenti scolastici, in particolare le secondarie di secondo grado, per procedere con la DAD. Da qui confusione, polemiche, proteste dei genitori: “si inviano solo schede, troppi compiti, non abbiamo la stampante, sono finiti i quaderni e le cartolerie sono chiuse, non riesco a stare dietro ai compiti”. In data 17 marzo il MIUR ha inviato una nota alle scuole con le prime indicazioni operative per le attività di didattica a distanza specificando cosa si intende per didattica a distanza, la questione della privacy, la progettazione delle attività, l’attenzione agli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali, la valutazione delle attività didattiche a distanza. E specifica: “La didattica a distanza, in queste difficili settimane, ha avuto e ha due significati. Da un lato, sta servendo a “mantenere viva la comunità di classe, di scuola e il senso di appartenenza”, combattendo “il rischio di isolamento e di demotivazione”. Dall’altro lato, è essenziale per “non interrompere il percorso di apprendimento”.

 

Coronavirus, emanata la nota con le indicazioni operative per la didattica a distanza

 

La distanza è un muro mentale e molti insegnanti hanno immediatamente abbattuto questo muro e sono entrati nelle case trovando il modo di non perdere i ragazzi e le loro famiglie, ricreando, tra tante difficoltà, un gruppo classe. Emerge, però, un dato: i ragazzi hanno paura di tornare a scuola e non perché debbano riprendere una routine (cosa di cui sarebbero contenti) ma perché temono di essere massacratici con le valutazioni, con i programmi arretrati. Altri sono stati sopraffatti dall’ansia scatenata dalle sconcertanti notizie che corrono sui social e che ci vengono date continuamente dai Tg, altri ancora non hanno voglia di partecipare alle lezioni on line, latitano, si collegano tardi, tengono la webcam sempre chiusa o che semplicemente non hanno rete, credono di essere in vacanza. Cosa fare di fronte a tutto questo? Come includere tutti?

Come sappiamo, non tutti i genitori sono “preparati” ad affrontare le varie fasi evolutive dei propri figli e lo stare in casa per molto tempo appesantisce particolarmente gli stati d’animo; anche perché si tratta di una forzatura dettata da un alto rischio per la propria incolumità e dunque genera un alto livello di stress. In questa fase sono tanti i genitori che richiedono aiuto, che si sentono “bloccati” dalla paura e dalla preoccupazione per i propri figli. Nonostante tanti professionisti dell’aiuto si siano resi disponibili gratuitamente, l’aiuto più prossimo che le famiglie richiedono è quello dei docenti.

Inizialmente, le lezioni si aprivano con “Mi sentite? Io vi sento”, “Mi vedete? Io vi vedo”. Pian piano che il tempo è scorso si è creata una vicinanza emotiva tale da lasciare il posto a “Ragazzi, come state?”, “Buongiorno ragazzi, come va?”. Alla scuola secondaria non è una cosa ovvia e scontata. Alla primaria le maestre dedicano tempo al “come stanno” i bambini, ma alle medie, e poi via via alle superiori, spesso ci si dimentica un pochino del “come stanno” e ci si concentra troppo sul “cosa fanno”(Avete fatto i compiti? Siete preparati per la verifica? Chi ha portato il materiale? Chi sa rispondere?). Siccome i ragazzi sono ormai grandi, troppe volte si salta quel passaggio, ci si preoccupa così tanto delle loro teste, e poco dei loro cuori. Parliamo di preadolescenti e adolescenti, che sono in realtà più cuore che testa, che sono spesso sequestrati dalle emozioni che vivono, a volte buone, a volte meno buone, a volte sotto controllo, a volte fuori controllo. Alcuni, essendo adolescenti e dunque in evoluzione fisica e mentale, hanno difficoltà a stare davanti alle telecamere, a riascoltare la propria voce, hanno vergogna, hanno anche difficoltà a farsi i selfie e partecipare a video con amici. Ma c’è anche chi vuole semplicemente rompere le regole (non è che questa condizione cambi le personalità!). Non è certamente facile ricreare la classe da casa, nel senso che molti chiudono la webcam perché magari continua a fare una serie di attività, come stare in pigiama, magiare, ascoltare musica, anche perché, dati i tempi lunghi per attivarsi, il primo messaggio che è passato è “Stop alle attività. Siamo in vacanza!” e da qui tutte le difficoltà.

Questo momento dovrebbe essere vissuto come una risorsa per ripartire domani in modo nuovo.

Si è creata una vicinanza emotiva che dovrebbe consentire anche di rivedere le modalità di valutazione, non più incentrata sulle prestazioni ma sulle competenze emotive, quelle che ci occorrono nella vita. Si dovrebbero mantenere queste “nuove” modalità, in ricordo della pandemia! Questo perché se i ragazzi sono valorizzati, si esprimono al meglio e apprendono di più. Ed apprendimento ed emozioni viaggiano a braccetto, lo sappiamo. Imparo bene solo se sto bene. La gestione emotiva implica la consapevolezza del valore educativo dei meccanismi “seduttivi” e della necessità di attivarli in circostanze come quella che stiamo vivendo, momenti in cui per i ragazzi è necessario attivare o recuperare una “dimensione affettiva” fatta di interesse, affettività, predilezione reciproca. Spesso questo è l’unico modo per sbloccare un vissuto particolarmente difficile e mettere in atto “segnali di legame” che facciano presa sul singolo ragazzo, forme di interessamento autentico per la sua vicenda esistenziale, valorizzazione di certi suoi atteggiamenti o comportamenti, momenti di predilezione, sono “strategie seduttive” che, se inserite in una progettualità consapevole, permettono di sfruttare le potenzialità della dimensione affettiva della relazione educativa.

Beh….nonostante tutto la pandemia ci ha fatto un bel regalo!

Speriamo che quel “Come state?” ritorni a settembre in aula insieme ai ragazzi.

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