Ci stiamo dentro: dentro casa, dentro di noi, dentro la comunità, dentro il web

di

di Gianclaudio Santo, Elisa Floredan e Selene Amici, operatori sociali della cooperativa sociale Educazione Progetto attivi a Moncalieri, Nichelino, La Loggia e Rivoli

Pandemia, guerra, catastrofe. Così si presentano il virus e le sue conseguenze.
Rivoluzione. Può anche essere così. Forse basta cambiare il paio di occhiali attraverso cui leggere quotidianamente il mondo. Uno stravolgimento complesso che avviene soprattutto dentro. Dentro casa, dentro quotidiani sistemi, dentro le nostre famiglie e le nostre relazioni, dentro ognuno di noi, abituati a vivere in una dimensione esteriore anche intime istanze.
Certo è che la nuova realtà che stiamo vivendo a causa del dilagare del virus COVID 19 e della conseguente emergenza epidemiologica e sanitaria (con le disposizioni e le restrizioni esplicitate nei diversi DPCM che si inseguono e si susseguono) ci porta a riflettere ancora una volta come educatori e operatori sociali sull’importanza e la centralità della relazione e, in questo caso, della relazione negata. Sembra che tutto quello che si costruisce giorno per giorno nei nostri servizi e progetti con bambini, ragazzi e genitori in termini di relazione di cura, di attenzione, di sostegno alla loro crescita venga cancellato perché non si può più stare vicini. Ma i bambini e i ragazzi lo capiranno? Come si daranno una spiegazione a questo nuovo modo di vivere in cui guadagnano un tempo lungo di relazione con mamma e papà, (e non è poco!) ma perdono il contatto con gli altri aspetti della loro vita quotidiana che erano diventati interessanti, divertenti, arricchenti e facevano ormai parte della loro routine? E le famiglie come faranno a gestire il loro fondamentale compito in un corto circuito prolungato con la comunità educante?

Educatori di comunità digitale

Come operatori sociali pensiamo allora che questa sia una sfida che vada raccolta, partendo dal pensiero rivolto ai minori e immediatamente allargato alle loro famiglie, provando a riconvertire la nostra figura educativa in quella di Educatore di comunità digitale attraverso la quale intendiamo mantenere viva la relazione con bambini e ragazzi; tenere aperti e consolidare i canali comunicativi con le famiglie che frequentano i nostri servizi – e possibilmente agganciarne di nuove – sostenere le famiglie più isolate e fragili comprendendo anche i nonni, facendoci aiutare proprio dalle famiglie che conosciamo.

La sfida che ci pone questa “rivoluzione” è quella di provare a ri-definire rinnovate modalità di incontro, ascolto, progettazione condivisa, momenti di aggregazione, azioni partecipate, supporto a distanza a vantaggio della comunità educante, tutte azioni che mirano a ri-creare/ri-generare e ri-capacitare il senso di comunità, di responsabilità civile e di appartenenza.

Ma la scommessa è anche quella di non negare la fatica e la sofferenza di molti, di provare a farci educare da un dolore impensabile e inedito, aumentando l’empatia verso il mondo e la comunità e leggendoli non attraverso il paradigma della guerra, che ogni tg e conferenza stampa televisiva ci propinano, ma avvicinandosi ad essi con la volontà della cura. Perché questa non è la stagione della guerra, ma è l’epoca della cura, della prossimità.

In questa cornice si colloca la proposta di sperimentare una nuova figura di Educatore/Animatore per gli adolescenti e una nuova idea di Comunità digitale capace di attivare nella comunità una modalità circolare di comunicazione/formazione/animazione attraverso cui dare voce agli stessi protagonisti della comunità ma in una modalità diversa dalla dimensione di isolamento in cui tutti stiamo vivendo e provando a mettere in gioco nuovi strumenti. Nell’attesa che il virus venga debellato, uno smartphone ci salverà, o ci aiuterà a farlo. Lo stesso smartphone demonizzato e abusato fino a poco tempo fa si trasforma in uno degli strumenti malleabili di urgente accesso al mondo esterno. Uno strumento di cui aver cura e da utilizzare con più coscienza. Dentro lo smartphone c’è l’ufficio, l’aula, la palestra, il cinema, il bar, la sala concerti, il museo, il negozio, il parco giochi, la banca, il centro giovani…

Attraverso nuove modalità tentiamo di non disperdere il patrimonio di legami e di relazioni costruiti in questi anni e di mettere al centro le risorse e le competenze che la comunità, se non lasciata sola, può generare per affrontare questo periodo così complicato. Nella fase iniziale è stato necessario esorcizzare e normalizzare in qualche modo la paura, la clausura forzata, le diverse percezioni del tempo e degli spazi, per assorbire e collocare nuove rappresentazioni di noi e degli altri. Poi l’ingegno ha fatto capolino per sperimentare modelli relazionali, di studio, lavoro e gioco alternativi, accomunati da quell’empatia che sa accendersi quando ci si sente “tutti sulla stessa barca”, in preda a incertezze e cambiamenti repentini. La disponibilità e la propensione alla collaborazione intensa e operativa all’interno della comunità innescano meccanismi che portano a valorizzare le competenze di tutti. Ognuno di noi è fertile per acquisirne di nuove, adatte alla situazione, è più aperto all’ascolto e ad essere ascoltato, a condividere modi e strumenti risolutivi per fronteggiare le necessità quotidiane dettate dall’isolamento forzato.

Frammenti di ogni quotidiana abitudine assumono nuove sfumature. Reti di persone che si ri-attivano. Nuovi rapporti che nascono: un professore “smanettone” si rende disponibile volontariamente per supportare colleghi meno avvezzi agli strumenti di didattica a distanza; genitori isolati che prima facevano fatica a chiedere un supporto ora vivono gli altri genitori e gli stessi educatori come qualcuno di cui provare a fidarsi; una vicina di cui non conoscevamo nemmeno il nome ci chiede se abbiamo bisogno che ci lasci la spesa davanti alla porta di casa; webinar di ogni argomento gratuiti; canzoni dal balcone per richiamare un’emozione positiva nell’apparente monotonia e nella fatica di queste giornate.

L’emergenza ha infatti stravolto la nostra vita, ma ha anche fatto affiorare una capacità di affrontare assieme le avversità, grazie alla tecnologia da un lato, ma soprattutto grazie alla volontà e alla ferrea determinazione di non abdicare, ognuno, alle proprie responsabilità. Una società è tale se non si abbandona al disfattismo, non smette di reagire ai cambiamenti e, soprattutto, non lascia indietro nessuno. Ecco perché crediamo necessario, se non indispensabile, provare a ricostruire un tessuto connettivo tra i soggetti singoli e collettivi ed il contesto comunitario in cui si trovano. Non dobbiamo ritirarci anche culturalmente nelle nostre case e sedi organizzative, di fronte al timore e alla paura del contagio, ma dobbiamo provare a ri-abitare il territorio in maniera diversa perché questo tessuto connettivo permette di leggere la comunità e comprenderne i bisogni e le domande (totalmente nuove in questa fase), ma anche di individuare nuove risposte e nuove sfide sulle quali mettersi in gioco “facendo insieme”. L’attenzione, la vicinanza, la condivisione che lega gli operatori ai bambini e ragazzi… è più forte del Coronavirus!

Le famiglie, in questo tempo sospeso, stanno tentando una ridefinizione in termini di ruoli, spazi, gestione dei minori, attivazione di nuovi modi di stare in relazione con gli altri. Sono tanti i bisogni espressi dai destinatari con cui siamo in contatto: bisogni di relazione, consapevolezza di una nuova gestione del tempo per riuscire a conciliare famiglia e lavoro, bisogno di supporto psicologico per non trovarsi da soli ad affrontare le sfide della crescita dei propri figli.

Cosa stiamo facendo

Come operatori del progetto Comunit-Azione stiamo cercando di rispondere al meglio a queste necessità creando nuove opportunità di condivisione e di apprendimento per i ragazzi e per le loro famiglie, nonostante la mediazione della tecnologia. Il nostro lavoro si svolge all’interno di 12 scuole secondarie di primo e secondo grado nelle città di Moncalieri, Nichelino, La Loggia e Rivoli.

All’interno dei Laboratori di Cittadinanza effettuati con i gruppi classe i nostri ragazzi, prima del lockdown, avevano immaginato tanti progetti da poter realizzare insieme per poter valorizzare la propria scuola, il proprio territorio e la comunità: l’istituzione di una “giornata verde” in cui andare a scuola in bici o a piedi; la riqualificazione delle panchine posizionate nei parchi; la creazione della raccolta differenziata all’interno della scuola; l’organizzazione di giornate di clean up del territorio e di un supporto informatico per gli anziani. Ora le azioni del nostro progetto (Laboratori di Cittadinanza e Cantieri di Cittadinanza) si trasformano in modalità online e, collaborando con le scuole, le mille idee sviluppate precedentemente dai ragazzi vengono ripensate da loro stessi e adattate a questo nuovo periodo di vita tenendo a mente quanto, adesso più che mai, le competenze di cittadinanza assumano un valore fondamentale nella crescita nei nostri piccoli cittadini.

Anche i ragazzi e le ragazze che prima si incontravano quasi ogni pomeriggio presso i CEC (Centri Educativi di Comunità) all’interno dei centri giovani o negli spazi della scuola per trascorrere il tempo dello studio o della socialità insieme, ora esprimono il desiderio di incontrarsi e di continuare a condividere, seppur attraverso uno schermo, il tempo dei compiti, delle chiacchiere e delle attività con i loro compagni. Nei CEC online, dunque, il supporto allo studio e le attività ludiche si trasformano: gli interventi avvengono prevalentemente in videochiamata, hanno una durata inferiore rispetto ai CEC classici e si rivolgono a piccoli gruppi composti da 2-4 studenti della medesima classe divisi per fascia oraria. Trascorriamo il tempo insieme svolgendo i compiti di scuola e imparando a fare collegamenti tra le materie da studiare; trasformiamo giochi da tavolo tradizionali in versione online, guardiamo video e ascoltiamo musica, magari soffermandoci sui testi delle canzoni; cuciniamo; ci alleniamo e giochiamo al gioco dei mimi; creiamo sfide che da dentro ci portano fuori e la nostra “JAM! Pensieri fatti in casa” ne è un esempio; ci occupiamo di spazi di ascolto in cui poter esprimere liberamente le piccole o grandi insofferenze e fatiche quotidiane.

Di fronte alla paura e a questo periodo sospeso che fa ancora più fatica ad intravedere un futuro, sperimentiamo quotidianamente come una rinnovata forma di animazione di comunità può divenire un approccio di riferimento strategico per l’impresa sociale e per la cooperazione sociale in modo particolare. Diviene la modalità con la quale riaffermare in maniera importante ed efficace un forte e stretto legame con il territorio di riferimento; un’alleanza vera con la comunità che può sentirsi abbandonata a sé stessa e in cui inevitabilmente i legami faticosamente costruiti rischiano di sfilacciarsi. Crediamo che solo con un approccio basato su questi principi la cooperazione sociale possa affermare la sua alterità da qualunque altra tipologia di impresa e in questo modo dare un senso a sé stessa e alla sua “non fungibilità”. La cooperazione sociale, tramite l’animazione territoriale anche nell’inedita forma “a distanza”, può e deve tornare a colloquiare con la comunità e divenirne una sua espressione in una relazione di reciproco affidamento e fiducia. Crediamo davvero che sia l’unica possibilità di crescita e innovazione che si possa perseguire in questa stagione particolare della nostra vita.
Diventa decisivo, allora, ripensare i processi partecipati e di comunità che devono rimanere opportunità per le persone e per i territori di instaurare relazioni che consentano di trovare soluzioni innovative nell’epoca della reclusione, dell’isolamento, dello stare dentro, il tutto mediato da piattaforme e social network.
Ci stiamo dentro, ci proviamo: dentro casa, dentro di noi, dentro il web.
Dentro, e pronti al cambiamento.

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