Un messaggio di speranza

di

Intervista a Marco Rossi-Doria

Marco Rossi-Doria, maestro elementare dal 1975, ha insegnato in quartieri difficili di Roma e Napoli, ma anche all’estero e in particolare negli Stati Uniti, Kenya e Francia. Primo maestro di strada, ha fondato il progetto Chance – scuola pubblica di seconda occasione. Esperto dei processi di apprendimento e delle politiche di inclusione è stato Sottosegretario di Stato all’Istruzione. Ha ricevuto dal Presidente della Repubblica la Medaglia d’oro per la cultura, l’educazione e la scuola nel 2001. Oggi presidente dell’Impresa Sociale “Con i Bambini”.

Noi l’abbiamo intervistato

 

Come mai nel 2020 l’Italia si scopre impreparata nel passaggio avvenuto con lo scoppio della pandemia dalla lezione frontale alla Dad? Qual è la ragione di questa arretratezza che non riusciamo a superare in campo educativo?

L’Italia è un paese grande, complesso e strano. Ci sono luoghi dove si è fatto invece molto lavoro, anche d’avanguardia, nel trattare non solo il rapporto tra la didattica a distanza e la didattica in presenza. Eppure la maggioranza del paese risulta in ritardo rispetto agli standard degli altri paesi europei. Poi c’è stato prevalentemente un problema che potremmo definire “sociale”, il digital divide, il divario digitale, riguarda i poveri, perché hanno meno possibilità di imparare, hanno meno device, cosa che abbiamo pagato molto duramente. In terzo luogo, abbiamo zone del paese dove la linea non arriva o arriva molto male, penso alle zone esterne, ma anche ad altre zone periferiche metropolitane. Quindi è stata una somma di questioni sociali e tecniche, unite a mancati investimenti. Non tanto investimenti di carattere economico, perché anche nei lustri precedenti alla pandemia si sono spesi fin troppi soldi sulle tecnologie: il problema è che non c’è stato un accompagnamento, c’è stato uno sperpero di denaro. Avere delle tecnologie a scuola non vuol dire utilizzarle. E poi c’è il fatto che la maggioranza, o comunque un 50% dei docenti italiani, non sono nativi digitali, perché scontiamo il fatto di aver avuto fino a poco fa l’età media dei docenti tra le più alte del mondo. Queste sono le cause, che vedo più come concause. C’è stato un cambiamento positivo, e questo dovrà continuare. Naturalmente la Dad non risolve il problema, non si può fare la scuola in Dad, ci vuole la presenza, e più ci sono difficoltà, più ci sono diseguaglianze, più ci sono fragilità, e più la relazione in presenza è importante per motivare e per dare forza alle ragazze e ai ragazzi.

 

Per commentare un dato Istat: abbiamo 1,4 milioni di bambini e ragazzi in stato di povertà, si parla di un ragazzo su 7. Sono dati che fanno un grande effetto. Lei come li commenta?

Li commento aggravando l’analisi della situazione, perché 1,4 riguarda la povertà assoluta e a questo bisogna aggiungere 2,2 milioni di bambini e ragazzi in povertà relativa, che comunque è una situazione di povertà grave, anche se non gravissima. Ma il dato diventa molto grave se riguarda l’inizio della vita. Una ulteriore situazione deriva dal fatto che la povertà assoluta è triplicata negli ultimi 14 anni, e quella relativa è raddoppiata. Quindi dobbiamo registrare un notevole peggioramento, abbiamo pagato politiche che non hanno protetto e hanno invece creato maggiori disuguaglianze. Come vado dicendo in giro con una certa ossessività, dovrebbe essere considerato questo il principale problema del paese, ma non mi pare che sia al centro dell’agenda mediatica e soprattutto politica. Per questo, c’è un gran lavoro da fare, ma per fortuna c’è tanta gente che in ogni parte d’Italia lavora su tutte queste cose. Il problema è l’ascolto e il mettere in atto politiche pubbliche capaci di affrontare davvero il problema con azioni stabili nel tempo. Perché non bastano gli spot.

 

Per arrivare invece al concreto, all’azione che l’impresa sociale “Con i Bambini” ha fatto, registriamo una grande attività dal 2016 ad oggi: 15 bandi, 400 progetti, 338 milioni spesi per questa progettazione e, soprattutto, avete messo insieme una rete di organizzazioni di circa 7200 entità. Nonostante questo, lei pensa che si debba fare di più e che cosa si può fare di più?

Si può fare molto di più, perché questo fondo è nato grazie alle fondazioni di origine bancaria, per fare delle sperimentazioni, per mostrare cioè che si tratta di una strada possibile: unire il pubblico e il privato per combattere la povertà educativa multidimensionale e complessa che abbiamo in Italia attraverso nuovi dispositivi, nuove alleanze, nuove innovazioni. Questo lo stiamo dimostrando, come lei ha giustamente notato, e lo continuiamo a dimostrare. Il punto è che, per esempio, per il PNRR sono arrivate 10, 20, 30 volte queste somme per fare questa cosa, ma purtroppo, per ora, i ministeri non stanno cantierizzando queste somme, non tenendo conto delle nostre ma anche di altre esperienze. La programmazione europea ha dei fondi che vanno nella medesima direzione, come anche i fondi ordinari delle regioni e delle SSE: il problema è la mancanza di attenzione alle persone e alle organizzazioni, né agli sforzi, alle invenzioni e ai risultati che il territorio ci restituisce, quei segnali continui di fatica, certo, ma anche di speranza. Abbiamo l’impressione che la politica non sappia sedersi al tavolo insieme alle persone o alle organizzazioni, compresa l’Impresa sociale “Con i Bambini”, che sta dimostrando nei territori di saper fare quello che va fatto. Questo è il cruccio e anche il senso di una battaglia culturale e ideologica che deve continuare.

 

Quale messaggio vogliamo dare al nuovo Parlamento e al nuovo Governo che sta per insediarsi? Ma soprattutto quale speranza dare alle famiglie italiane?

Dobbiamo dare un messaggio di disponibilità a lavorare con chiunque, molto serenamente, a partire proprio dal Parlamento, ma anche da chi si insedierà in tutti i Ministeri. Penso al ministero del Welfare, dell’Istruzione, della Famiglia, ma anche a Palazzo Chigi, affinché possa venire avanti un’Italia più giusta, sulla scorta di quello che già si fa e si sa fare. Questo è un messaggio di speranza, nel senso che, come dicevo, se si supportano con i fondi a disposizione le tante cose già realizzate dalle persone in ogni parte d’Italia, si possono ottenere straordinari risultati.

 

Presidente, le auguriamo buon lavoro e la ringraziamo per la disponibilità ad aver accolto il nostro invito.

Grazie a voi per il vostro impegno che ben conosco.

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