L’autobiografia nelle relazioni di cura

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L’autobiografia nelle relazioni di cura

La richiesta dei docenti di questo Istituto è diversa: ad un percorso di scuola aperta, preferiscono un lavoro mirato per due differenti classi, che si affacciano per la prima volta all’alternanza.

Dopo esserci confrontati all’interno dell’équipe e con il Capofila, pur vedendo i rischi di un percorso in un setting molto simile a quello scolastico, decidiamo comunque di iniziare il lavoro, con l’accordo di lasciarci lo spazio per una riprogettazione nel caso sia  necessaria.

Primo incontro:

L’operatrice, affiancata dall’insegnante di riferimento, incontra il gruppo classe, per presentare il percorso e raccogliere il punto di vista e le emozioni dei partecipanti, rispetto alla proposta.

Il gruppo è numeroso, molte voci si accavallano, vi sono domande e richieste di chiarimento, sin da subito il tema del “partecipare perché si desidera” e “partecipare perché è una richiesta della scuola” emerge in modo potente.

Nel lavoro di équipe successivo all’incontro si condividono alcuni aspetti: il gruppo ha bisogno di un percorso  “da protagonisti” per mettersi alla prova,ed allo stesso tempo “rompere” la dinamica scolastica usuale.

Secondo incontro

Le operatrici dividono la classe in due gruppi e propongono un role-playing, il cui scopo è far individuare ai partecipanti le parole chiave del lavoro di cura.

I due gruppi lavorano in modo analogo, in uno, dopo un’iniziale difficoltà a capire il compito ed a mettersi in gioco, il role playing viene sperimentato più volte, le persone si giocano nei differenti ruoli proposti: educatori, genitori, osservatori. C’è lo spazio per dirsi come si sono sentiti nei vari ruoli e quali sono le parole chiave individuate.

Nell’altro i partecipanti non cambiano il ruolo, lo sperimentano più a lungo, anche così rimane lo spazio per confrontarsi.

Terzo incontro

Lo scopo del terzo incontro è approfondire uno dei temi emersi nell’incontro precedente:  la capacità di ascoltare gli altri.

Le operatrici dopo aver preparato un lavoro per l’intera classe unita , valutano invece di dividere i partecipanti in due gruppi diversi.

Ad entrambe sembra una buona modalità per favorire la concentrazione e l’apprendimento.

I due gruppi, lavorano in modi differenti: uno si sperimenta nel lavoro a coppie (sia con l’utilizzo della parola che silente) per approfondire le dimensioni dell’ascolto, della narrazione, dell’utilizzo delle domande per capire l’importanza dei vincoli del tempo e del luogo,  per utilizzare l’intelligenza collettiva  e l’ascolto silente per sviluppare l’empatia.

 Il secondo gruppo sperimenta un cambio di ruolo: le consegne (oggetto di lavoro, tenuta dei tempi e degli spazi) vengono gestite da un partecipante: l’esercitazione serve a sviluppare l’empatia, cambiare l’ottica con la quale si agisce normalmente, uscire dal ruolo stereotipato.

Anche in questa occasione, i due gruppi lavorano bene, seppur con più fatica rispetto alla volta precedente, riescono comunque ad individuare gli elementi chiave dell’ascolto.

Ci colpisce che in entrambi i gruppi emergano molte paure, legate al contesto? Legate al ruolo? Legate al compito proposto? Legate alla richiesta di prendere una posizione diversa rispetto a quella abituale?

Questa riflessione ci accompagna nella preparazione dell’incontro successivo: l’ultimo prima dell’avvio dell’alternanza.

È quindi un incontro che idealmente chiude la prima fase del laboratorio,  ripartiamo dalle paure per dar loro voce e offrire uno spazio di contenimento .

Come operatrici valutiamo inoltre di condividere con la Scuola la necessità di rivedere gli accordi, ritornando all’idea di “Scuola aperta”, in modo da lasciare i giovani liberi di partecipare solo se lo desiderano.

Quarto Incontro

Sono  solo 9 persone, di fatto hanno anticipato la nostra richiesta. Le persone in aula,  sono quelle che desiderano effettivamente partecipare al laboratorio, con molta trasparenza ne parliamo con loro, alcune voci riportano il dispiacere di non essere tutti insieme come classe.

Condividiamo  le parole chiave “del lavoro di cura” che sono riusciti ad individuare negli incontri precedenti, restituendogli anche la capacità dei presenti e degli assenti di lavorare in un modo non usuale e spesso complesso, mettendosi in gioco in ruoli diversi; facciamo un passaggio sugli strumenti che abbiamo utilizzato sino ad ora nei laboratori (tutto ciò è sintetizzato in un breve documento che consegniamo ai presenti.)

Proponiamo poi di approfondire il tema delle paure, emerse nel laboratorio precedente, con l’obiettivo di ragionare sulla  capacità di ascolto di se stessi e di contenimento delle ansie: domandandoci cosa provo in questo momento?

Il gruppo lavora sulle paure personali, legandole alla paura del ruolo che andranno a ricoprire per la prima volta (nell’alternanza), la relazione fra i partecipanti scorre in modo fluido, non giudicante, vengono approfonditi gli argomenti con l’uso delle domande, il racconto di una partecipante permette al gruppo di confrontarsi sulle varie ipotesi di lavoro, come in un’équipe.

In chiusura di questa sessione emerge una domanda: possiamo lavorare sul tema del gruppo? Non siamo uniti, dobbiamo imparare a non avere sempre gli stessi ruoli.

Le posizioni sono diverse, ma la domanda sembra importante a tutti i presenti.

Cosa richiede il lavoro di cura: queste le parole dei partecipanti

  • passione;
  • capacità di ascolto degli altri: capacità di fare le domande, darsi il tempo per capire, non avere fretta di dare la “risposta”;
  • capacità di ascolto di se stessi: cosa provo in questo momento?
  • contenimento:gestione dell’ansia (propria e altrui);
  • conoscenza del proprio ruolo: cosa devo fare, chi sono i miei interlocutori, quali clienti, quali limiti, quali possibilità.

– Microcosmi –

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