Il futuro di Daniel

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i tatuaggi di Daniel

Sto camminando per il paese. Sento una bestemmia dietro di me, con quell’accento marcatamente campano.
Mi giro, lo saluto. Ricambia con finta indifferenza, mi mostra il nuovo tatuaggio. Sulle mani, questa volta.

Certo, perché le braccia, il collo, le spalle ormai sono già piene. Un dedalo di disegni, colori, linee. Ha iniziato a tatuarsi presto, a 15 anni, senza chiedere ai genitori, in casa di un amico, senza alcuna precauzione, senza attribuire ai tatuaggi alcun significato. Un solo obiettivo: quello di coprirsi il più possibile. La sua pelle nuda gli fa impressione.

Racconta, gesticola molto, si sente su un palcoscenico. L’applauso nella vita reale non arriva mai, però.

Vuole fare il pornostar. A scuola, in un laboratorio di creta, aveva indignato tutti i professori creando abilmente un fallo grandissimo. Tutti tranne uno, che cercando qualcosa oltre alla provocazione, gli aveva dedicato il suo tempo tra un’ora di lezione e la correzione delle verifiche: ha raccontato di quando i suoi genitori si sono separati, contendendoselo. Una giornata con la mamma, due con il papà, poi ancora una settimana con la mamma e un giorno con il papà, per mesi. Poi più nulla: la play station che anestetizza la sofferenza, i genitori sempre al lavoro e lui troppo piccolo, in casa davanti alla tv o in giro per il paese.

Ancora adesso, ad un passo dalla maggiore età, crea video con foto vecchie e ingiallite della famiglia, crogiolandosi nei ricordi di momenti felici. Ricordi fermi all’età di sette anni. Sogni di normalità, per la vita che deve venire: la moglie che lo aspetta al ritorno del lavoro con un piatto caldo in tavola, i bambini che giocano sul tappeto, lui che guarda la partita di calcio sul divano con una birra fresca.

Ha mollato la scuola dopo la terza media, traguardo raggiunto a fatica. Da lì è sempre stato in un limbo, un’attesa infinita: la madre che apriva un’attività e che lo voleva come commesso, l’amico del padre che gli avrebbe offerto un lavoro, la zia che forse l’avrebbe assunto nel bar di famiglia.

Le giornate scorrono una identica all’altra: la sveglia all’ora di pranzo, il giro in paese, la cena con il padre, quando è a casa, la play station o i social fino alle quattro del mattino. No, non sono identiche l’una all’altra, perché il martedì e il giovedì, sono in paese nell’educativa di strada.

Con puntualità arriva quel messaggio “Vero, ci sei oggi?”. Con puntualità arriva quella richiesta di compagnia, quel desiderio di essere visto, accolto. Non ha un gruppo di amici, nessuno vuole passare il tempo con quella maschera, quell’attore consumato, quei monologhi troppo simili l’uno all’altro. Ogni tanto qualcuno, con cui si condivide una birretta, una serata, una canna, forse qualcosa di più.

Oggi lo incontro per stendere il curriculum, un primo passo verso la progettazione di un futuro un po’ più stabile, più sereno. L’ha chiesto lui, perché è dalle domande dei ragazzi che si parte sempre. Gli proporrò poi un percorso di orientamento lavorativo: l’Informagiovani, il Centro per l’impiego, il Cesvip, una Cooperativa del territorio con cui collaboriamo da anni che si occupa di avvio al lavoro… l’obiettivo è ambizioso, ma finalmente condiviso da lui, che ha riportato l’esigenza di crescere e di essere indipendente. Un passo dopo l’altro. E oggi il passo è il curriculum.

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