Mattia Villardita a Jolly Roger: lo Spider-Man che regala sorrisi contro la malattia
di ideaprisma82
Ai microfoni di Jolly Roger giunge come un faro di speranza la voce di Mattia Villardita, volontario ospedaliero, Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e autore dell’opera Io e Spider-Man. Storia vera di un supereroe normale. Un supereroe comune che ha fatto della propria esperienza con la malattia un insegnamento e un dono da donare al prossimo per rallegrare le vite di tutti quei bambini che ogni giorno lottano in ospedale e che hanno bisogno di tanti sorrisi.
Ti piace quello che fai?
Tantissimo. Nella mia vita cerco di ritagliarmi più tempo possibile per fare quello per cui sono nato. Normalmente io faccio l’impiegato portuale logistico, ma il volontariato è come se fosse il mio hobby, che mi diverte e fa divertire e finché funzionerà lo porterò avanti con tutte le energie possibili.
Cosa fai per far sorridere i bambini?
Il più lo fanno loro. Io ho l’asso nella manica di avere il personaggio già riconosciuto, che è quello di Spider-Man. Dopo basta il costume, una verticale e una capriola per far felice sia loro che le loro famiglie. Bisogna però anche essere aggiornati sul personaggio per rispondere al meglio alle loro domande.
Come reagiscono i bambini quando ti vedono?
Alle volte vorrei avere una webcam in diretta per far vedere alle persone le reazioni dei bambini perché per me sono i momenti migliori della mia vita. Vedere un bambino malato che si emoziona e che emoziona tutti intorno a loro è una sensazione che non si può comprare. Sono cose a cui non si può dare un prezzo.
I bambini sento meglio o più felici quando ti vedono?
Sono otto anni ormai che svolgo quest’attività e ho incontrato bambini di sette anni che oggi sono cresciuti e ne hanno 14 anni e ancora si ricordano positivamente di me. Altri bambini che ho conosciuto mi chiedono come avvicinarmi al volontariato e quindi il ricordo felice che avevano di me si è trasformato in aiuto per altri. Negli anni quindi non ho fatto solo qualcosa che mi piaceva fare, ma stavo anche seminando e questo è bellissimo. Un momento di luce in un percorso di buio dove è essenziale oltre la cura medica anche quella dell’anima.
Tu che bambino eri?
Io ero un bambino che a 6 anni si è innamorato di Spider-Man, perché mio nonno, Giuseppe, mi regalò un suo fumetto. A 7 anni ho iniziato questo percorso ospedaliero che è durato fino ai 22 anni per via delle mie malformazioni congenite. Una volta finito di essere paziente ho bussato alle porte di chi mi aveva aiutato e grazie a chi mi ha aperto ho potuto dare il mio contributo per ringraziare di tutto l’aiuto che mi è stato dato.
Ci sono molti volontari come te negli ospedali?
Ovviamente sì, ci sono tante figure che fanno sorridere i bambini, come i clown e i musicisti che fanno musicoterapia e negli ultimi anni ci sono tante attività di volontariato in gran parte degli ospedali italiani proprio perché i professionisti si sono accorti di quanto il volontariato sia un’arma vincente per aiutare a i bambini nei loro percorsi di guarigione.
Se volessimo intraprendere la strada del volontariato cosa ci consigli di fare?
Ci sono due strade per avvicinarsi al volontariato: o ideare un progetto personale come il mio e quindi rivolgersi all’ufficio delle relazioni col pubblico di un ospedale e sostenere un colloquio in cui esporre la propria idea di volontariato, oppure ci si aggrega ad associazioni già esistenti che sono sempre felici di avere volontari.
Qual è il regalo più bello ricevuto dai bambini?
Il regalo più bello e sicuramente è un regalo emotivo donatomi da un bambino di Genova che si chiamava Matteo le cui ultime parole prima di lasciare questo mondo sono state “Felice io”, che rappresentano per me un mantra di vita che mi porto sempre dietro perché ha una potenza incredibile, oltreché un grosso punto di domanda.
Il tuo libro si chiama Io e Spider-Man. Storia vera di un supereroe normale. Perché questo titolo?
Perché nella società di oggi manca quella normalità, quella genuinità che serve per aiutare il prossimo. Io ho scritto quelle pagine perché sentivo il dovere di farlo e per lasciare una testimonianza che spinga ad essere utili per il prossimo.
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