“Il rap è il genere musicale che dà più voce a chi non ne ha”, parola del rapper Kento, intervistato dalla redazione inclusiva di Jolly Roger

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Il rapper calabrese Francesco Carlo, in arte Kento, noto per la sua musica inclusiva e da anni socialmente impegnato nel tenere  laboratori di scrittura rap nei carceri minorili d’Italia, si è prestato per un’intervista da parte della redazione inclusiva di Jolly Roger – La radio dei pirati, satellite di Aracne – La Rete che Include, progetto di inclusione sociale selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, nato per promuovere nel complesso ed eterogeneo territorio del III Municipio di Roma la piena inclusione sociale di 200 minori con disabilità e in condizioni di povertà educativa.

 

Come sei diventato un rapper?

Ho iniziato per gioco, ma già pensando che la musica potesse essere qualcosa che cambiava la mia vita, e anche quella di chi mi ascoltava. Ho iniziato a scrivere per gioco, a far ascoltare la musica ai miei amici e gradualmente la musica per me è diventata qualcosa di totalizzante. I piccoli passi sono la strada lunga che porta lontano.

Come mai hai deciso di chiamarti Kento?

Ho deciso di chiamarmi così in omaggio ad un cartone animato che guardavo da piccolo, Daltanious. Il protagonista del cartone è un robot che si chiama appunto Kento. È sempre stato uno dei miei cartoni animati preferiti e ho deciso di far diventare il nome del protagonista il mio nome d’arte.

Che tipo di musica ti piace ascoltare?

Ascolto il rap classico degli anni novanta, ma non disdegno anche quello di adesso. Per il resto mi piace il reggaeton e la musica popolare calabrese, insieme ai nostri cantautori italiani classici che sono sempre un ottimo ascolto.

Che strumenti utilizzi per i tuoi concerti?

Dal punto di vista tecnico i miei concerti non sono molto complicati. Sicuramente il microfono e poi giro sempre con i giradischi, che utilizzo come strumenti musicali.

Cosa insegni nelle carceri minorili?

Con i ragazzi facciamo rap insieme, scriviamo, registriamo, cerchiamo di tirare fuori qualche concetto interessante da mettere su foglio e di guardarci un po’ dentro non fermandoci ai messaggi superficiali che spesso la musica ha.

Di solito non si parla del rap come genere che guarda all’inclusione, ma tu lo fai. Sei un’eccezione oppure c’è effettivamente spazio per poterne parlare?

È innegabile che il rap, come genere musicale,  abbia determinati problemi, ma ciò non toglie che sia comunque il genere musicale che dà più voce a chi non ne ha, perché a livello semantico ed espressivo, ma anche al livello delle sue radici culturali, sociali ed umane, è uno dei generi che più si presta all’inclusione.

Nella musica, e nell’arte in generale, quanto è importante dare voce a chi non ne ha? Quanto in questo momento dovremmo riappropriarci di questo credo?

Per me è uno degli elementi fondamentali. Il rap da questo punto di vista ha una storia molto importante e che non possiamo dimenticare. Il fatto che sia nato nelle periferie afroamericane e che sia arrivato ad essere uno strumento artistico espressivo e di indipendenza economica per sfuggire alla criminalità, è un fatto che deve essere ricordato. Il mondo cresce e si evolve, e in tante di queste espressioni io trovo la stessa scintilla e la stessa chiave di lettura che ha avuto il pop negli anni sessanta quando è nato. Il rap è uno strumento straordinariamente flessibile e sta a noi che abbiamo la penna e il microfono in mano scegliere in che direzione puntare.

Si parla tanto di generazioni fragili o allo sbando. Tu che sei entrato nel mondo della scuola, quale materia inseriresti per aiutare i giovani che hanno bisogno di quella guida che in questo periodo storico sembra mancare di più a loro?

Sicuramente l’educazione  sentimentale sarebbe un’ottima materia da introdurre. Poi l’educazione civica, che non è mai uno strumento sbagliato,e infine, da musicista, ci sarebbe bisogno di molta più musica nelle nostre scuole.

Quale consiglio daresti per migliorare la propria passione musicale?

Consiglio sempre di creare il proprie stile, di prendere ispirazione e cercare di studiare quello che fanno i migliori, ma è importante che ognuno abbia il proprio stile personale e riconoscibile. Bisogna seguire la propria strada, perché è quella che porta più lontano.

C’è un progetto futuro a cui tieni particolarmente e di cui puoi anticiparci qualcosa?

Sono appena stato in missione sulla nave Ocean Viking e mentre ero lì ho scritto e girato delle riprese di cui posso dirvi pochissimo, ma vi anticipo che nei prossimi mesi ci saranno delle uscite molto importanti legate a questa esperienza.

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