Genitori in carcere, la perdita del ruolo e i bambini senza storia: lo spazio “per condividere le fatiche”
di officineperiferiche
Uno spazio “per condividere le fatiche”, i sentimenti, le cose belle e brutte, dove ognuno possa sentirsi libero di esprimersi da pari e non dove qualcuno ti “insegni” cosa è giusto fare. È questo che il progetto Altrove – non è la mia pena, fa all’interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), con i gruppi di supporto alla genitorialità ristretta. Gli psicologi svolgono gli incontri a cadenza settimanale in due reparti con gruppi di una decina di genitori ristretti ciascuno. Una iniziativa che ha riscosso molto successo tra i detenuti: “Ci hanno accolto con grande calore. Sentivano il bisogno di uno spazio per fermare il tempo e riflettere su se stessi e i loro affetti, le loro famiglie”, spiega Antonio Guida, psicologo dell’Associazione Officine Periferiche di Pianura, Napoli, che è uno dei professionisti che svolgono quest’attività. “Per me è un onore poter ascoltare le storie di questi genitori e cercare di dare loro il mio supporto”, aggiunge lo psicologo.
Il gruppo di supporto alla genitorialità ristretta
Lo psicologo, insieme a Sara Romito si occupa di questa attività all’interno del carcere che è solo uno dei tasselli del progetto Altrove. Da qui si agganciano i genitori detenuti che vogliono affrontare il percorso di sostegno alla genitorialità e si arriva alle loro famiglie, ai compagni liberi e ai loro figli che, all’esterno del carcere, vivono grandi difficoltà e sofferenze. “Gli incontri avvengono in gruppo – racconta Antonio –si affrontano temi legati alla genitorialità. L’obiettivo di questo progetto è quello di restituire al minore la possibilità di vivere una quotidianità di entrambi i genitori e ai genitori di avere supporto e fiducia nel loro ruolo”.
La mancanza della quotidianità del ruolo di genitore e della “leggerezza”
Antonio racconta che i temi che più spesso vengono affrontati nei gruppi riguardano principalmente la quotidianità della genitorialità che viene inevitabilmente persa quando un padre o una madre entrano in carcere. “La difficoltà di vivere il ruolo di genitore, il venir meno della possibilità di educare, di tramandare il proprio pensiero, il modo di vivere e la propria storia ai figli– dice Antonio – e anche la difficoltà del venir meno di quella leggerezza legata ad attività quotidiane che genitori e figli non possono fare più”.
I bambini senza storia
Molte delle difficoltà che incontrano i genitori ristretti sono legate alla difficoltà di raccontare la propria storia, la detenzione. “Di conseguenza i figli diventano bambini senza storia ai quali manca un pezzo della propria esistenza e della storia della famiglia”, dice Antonio.
La fatica del genitore libero
Dal gruppo di supporto è emerso che le fatiche non le vivono solo i genitori reclusi ma anche quelli liberi. “Chi è fuori si ritrova a ricoprire due ruoli – racconta lo psicologo – fatiche sia nella quotidianità della gestione dei figli, ma anche della possibilità di educare, di vivere a pieno il ruolo genitoriale con serenità. Questo genera disarmonia nell’equilibrio familiare rispetto ai ruoli. Succede all’arresto, durante la detenzione ma anche con il ritorno a casa”. Ed è questo il motivo per cui è importante darsi uno spazio per riflettere su come fare a recuperare il proprio ruolo di genitore in una situazione complessa come questa.
Lo spazio per condividere le fatiche
Lo psicologo racconta del calore ricevuto dai detenuti sin dai primi incontri in carcere. “Aspettavano, desideravano uno spazio che non fosse gestito in modalità discendente come di insegnamento di pratiche o di concetti dall’alto, ma di un luogo dove gli fosse data l’opportunità di parlare di loro, delle emozioni e delle fatiche vissute”. E quello spazio è arrivato grazie al progetto Altrove.
Dai gruppi svolti in cerchio con i genitori ristretti è emerso che la cosa che certamente pesa di più è la separazione. “Per un genitore ristretto è terribile l’idea di una potenziale esclusione dall’intero ingranaggio della famiglia – continua Antonio – Il non poter dare il proprio contributo nella gestione dei figli, sia esso materiale, economico o semplicemente fisico. E da qui le conseguenze, quelle di un genitore che da ruolo accudente si ritrova ad essere accudito. E da questo deriva un grande senso di colpa e una potenziale chiusura e allontanamento dalla famiglia”.
Fermare il tempo, che in carcere è anche troppo, e darsi uno spazio per riflettere è importante perché dà alle famiglie la possibilità di poter avere una prospettiva diversa. E questo è il motivo per cui il progetto Altrove – Non è la mia pena offre possibilità e supporto a tutti i membri della famiglia, dentro e fuori al carcere.
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