“Il carcere non è un posto per bambini, rivedrò mio figlio quando esco”: la risposta del progetto Altrove
di officineperiferiche
Una camera spoglia, con i vetri oscurati e dei tavoli attaccati al pavimento come le sedie. La luce è artificiale, dalle finestre ne trapela poca. Solitamente si presentano così le sale colloquio delle carceri. In questi spazi asettici i genitori detenuti incontrano i loro figli. Non importa quante ore o minuti siano concessi per il colloquio, il tempo è sempre troppo poco da trascorrere con un figlio. Ed è anche la qualità di questo tempo a fare la differenza. E a farne le spese sono soprattutto i più piccoli a cui è sempre difficile spiegare una situazione di questo tipo. Il progetto Altrove – Non è la mia pena, finanziato da impresa sociale Con i bambini, nasce proprio per rispondere a questa difficoltà.
A raccontarlo è Francesca Limatola, tra i fondatori dell’associazione La Livella che opera a Napoli nel quartiere Pianura, partner del progetto Altrove. Francesca conosce bene il mondo del carcere. Da anni si occupa di numerosi progetti con i detenuti, soprattutto a supporto della genitorialità. Qualche anno fa, durante uno dei progetti che svolgeva in carcere, ha conosciuto un giovane genitore di circa 22 anni. Poco prima di entrare in carcere aveva avuto un bambino che, all’epoca del loro incontro avrà avuto 9 mesi circa, non di più. “Aveva deciso di non vedere più il figlio – racconta Francesca – mi disse che doveva scontare una pena di 5 anni. Aveva già visto il figlio nella sala colloqui un paio di volte ma aveva capito che non era un luogo per bambini. Mi disse: ‘Mi sono reso conto che il contesto carcere, i colloqui, non sono adatti a un bambino della sua età, soprattutto non voglio che mi veda in carcere. Quindi vedrò mio figlio solo all’uscita dal carcere’. Significava decidere di rivedere il figlio quando sarebbe stato grande”.
La storia di quel papà colpì molto Francesca. Cosa avrebbe significato per quel papà privarsi del figlio per 5 anni? E cosa avrebbe generato nell’animo del figlio in quei primi delicatissimi anni di vita crescere completamente senza padre? Cosa sarebbe successo 5 anni dopo a quei due, una volta che il papà, uscito dal carcere, si sarebbero incontrati e conosciuti, di fatto per la prima volta? Come sarebbe stato il loro rapporto? Dalla sua esperienza ha capito quanto possa essere importante per i detenuti e le loro famiglie avere uno spazio dove incontrarsi: un ambiente adeguato ai bambini, colorato e pieno di giochi, dove poter avere un rapporto concreto e vero tra padri/madri e figli. Uno spazio protetto dove, con il supporto di specialisti, si possono ricucire i rapporti familiari che il carcere inevitabilmente sconvolge. Ed è proprio questo che sta facendo il progetto Altrove: supportare le famiglie dei detenuti nel tenere insieme i rapporti, fondamentali per tutelare soprattutto i più piccoli e il loro diritto a un’infanzia felice.
Un’ esigenza che l’equipe del progetto Altrove ha potuto toccare con mano quando è entrata nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove si svolgono tutte le attività del progetto, per ‘reclutare’ genitori detenuti da inserire nelle attività. In tanti hanno fatto domanda nel padiglione Nilo e Volturno. Quando gli operatori hanno raccontato che nella sala colloqui riqualificata grazie al progetto avrebbero potuto fare attività con i loro figli come produrre biscotti, leggere libri, guardare film o ballare, gli brillavano gli occhi. E tutti non vedevano l’ora di poter vivere quel tempo con i loro figli e le loro mogli e compagne in modo così autentico.
“Penso che sia molto utile creare uno spazio adatto per far incontrare genitori e figli, supportati da professionisti come educatori e psicologi, mettendo in pratica delle attività che permettano di avvicinarli – conclude Francesca – È utile per i detenuti e per le loro famiglie. Il progetto Altrove risponde proprio a questa mancanza di intimità tra genitori e figli, creando questo ambiente protetto in cui questi si possono incontrare. Inoltre ridà al genitore detenuto, la possibilità di ritornare ad essere genitore perché attraverso un semplice colloquio in cui si scambia una chiacchiera e niente più, il genitore è come se non avesse più la responsabilità genitoriale, come se gli fosse tolta. Invece, permettendogli, attraverso questo percorso, di riappropriarsi della responsabilità genitoriale, stanno meglio tutti: il bambino che può riallacciare il rapporto con il genitore, ma anche il padre con la madre, ricreare il nucleo familiare all’interno di un ambiente protetto”.
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