Le tradizioni artigiane: icone e senso della identità popolare

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Giovane allieva al banco di lavoro presso il celebre Opificio delle Pietre Dure di Firenze, oggi scuola di eccellenza nell'ambito del restauro e fiore all'occhiello dell'alto artigianato italiano riconosciuto in tutto il mondo. Foto Laila Pozzo per "La regola del talento", Marsilio Editori.

IL VALORE DEL MESTIERE

Giovanni Puglisi

Presidente Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO Rettore Università IULM

“Giovanni Puglisi, già Presidente della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO e Rettore dell’Università IULM, mette in luce il grande valore del patrimonio culturale immateriale rappresentato dal nostro alto artigianato e riconosciuto dall’UNESCO. Tutelare, valorizzare e promuovere questo patrimonio significa oggi innanzitutto formare una nuova generazione di artigiani-artisti che possa mantenere, trasmettere e far evolvere le eccellenze italiane: una generazione sempre più dotata e forte delle proprie competenze uniche e insostituibili.”
L’intervento è tratto dal volume “La Regola del Talento”, a cura di Fondazione Cologni, edito da Marsilio Editori, che si ringrazia per il permesso alla pubblicazione.

L’espressione “la regola del talento”, nella sua tentazione ossimorica, rimanda a un territorio di confine, uno spazio dai contorni incerti, dove si incontrano due attitudini, due inclinazioni, apparentemente irriducibili, dell’animo: studio paziente e intuizione folgorante, impegno costante e impulso creativo, limiti imposti dalla disciplina e sregolatezza del genio individuale.

Nello stesso nebuloso territorio, poi, si ritrova – spesso sotto l’etichetta del “mestiere d’arte” – la relazione feconda e insostituibile che da secoli accompagna e informa la tradizione creativa del nostro Paese, la relazione tra artista e artigiano, rintracciabile alla base tanto dell’esperienza delle botteghe rinascimentali quanto delle eccellenze manifatturiere del Made in Italy.

A Firenze, nel Cinquecento, il luogo magico della bottega ospitava, infatti, entrambe le figure, che erano oggetto del medesimo percorso di apprendistato e formazione: dalla Bottega del Verrocchio, ad esempio, uscirono sia un Leonardo da Vinci e un Ghirlandaio, sia un numero imprecisato di orefici, i quali – pur rimasti per lo più nell’anonimato – contribuirono quanto e più dei loro più illustri colleghi all’espansione economica e culturale della Firenze rinascimentale. Nel tempo, però, e in modo sempre più radicale con l’affermarsi della tecnocrazia che sempre più spesso sembra governare la nostra società, le due figure dell’artista e dell’artigiano hanno subito una sempre più netta separazione, sia nella pratica dei percorsi formativi e d’apprendistato, sia nella percezione del pubblico. Quest’ultimo è ormai abituato a relegare gli artisti nell’immobilità del museo o della galleria e a considerare gli artigiani solo come meri fornitori di beni e servizi quotidiani (il ciabattino, il pellettiere, il sarto), tra l’altro molto più costosi dei beni e servizi prodotti dall’industria. Tale separazione è contemporaneamente fittizia e pericolosa: fittizia, perché una volta riconosciuto il valore artistico delle eccellenze artigiane nulla osta alla loro musealizzazione; e pericolosa, poiché non dà conto del ruolo che entrambe le produzioni– non solo quella artistica in senso stretto– hanno nella costruzione della cultura e dell’identità dei popoli che le esprimono. Tale ruolo è invece esplicitamente riconosciuto dall’Organizzazione delle Nazioni Uni- te per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) in due tra i suoi più recenti strumenti normativi: la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e la Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, rispettivamente del 2003 e del 2005, entrambe ratifica- te dal Parla- mento italiano con leggi n. 19/2007 e 167/2007.

La prima, in particolare, definisce il Patrimonio culturale immateriale come «le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana». Se anche la stessa Convenzione non nominasse poco dopo, tra gli ambiti in cui il patrimonio immateriale si esprime, i saperi e i saper fare legati all’artigianato tradizionale, sarebbe comunque evidente come possano e debbano rientrare in questa categoria patrimoniale le tradizioni tipiche dei mestieri d’arte italiani: non a caso, l’Organizzazione internazionale ha riconosciuto come elementi rappresentativi del Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità, espressioni del saper fare italiano quali la Dieta mediterranea e, soprattutto, la Tradizione della liuteria cremonese.

 

Ora, mentre la Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO si adopera, in pieno accordo con le competenti Amministrazioni dello Stato, per promuovere il riconoscimento internazionale di altre preziose testimonianze delle eccellenze artisti- che e artigiane italiane, affinché esse godano del prestigio che meritano in ambito internazionale, il progetto portato avanti dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte e dalla Fonda- zione Deutsche Bank Italia – confluito nel volume La regola del talento, Marsilio Editori – pone l’accento su due tra le più rilevanti e spinose questioni che interessano lo straordinario patrimonio di saperi artigiani e mestieri creativi disseminati nel nostro territorio nazionale.

In primo luogo, la questione della loro inventariazione, che è come dire della loro riconoscibilità: grazie a questa prima, certamente parziale ricognizione di diciassette realtà rappresentative dei Mestieri d’arte e Scuole italiane di eccellenza (come recita il sottotitolo del volume), i promotori del progetto disegnano una mappa, arricchita dalle numerose testimonianze e sontuosamente illustrata dall’apparato fotografico, attraverso la quale il lettore è guidato alla scoperta di quei luoghi straordinari – le scuole – che per secoli hanno formato i talenti creativi del nostro Paese. … Si capisce come tale selezione – che comprende realtà di natura assai diversa, dagli “istituti pubblici di rilevanza nazionale”, alle “scuole di formazione legate alla tradizione e al territorio”, alle “scuole volute da lungimiranti aziende private per tutelare e preservare un patrimonio produttivo e di cultura unico” – non sia stata facile, così come non è affatto facile, per il Consiglio Direttivo della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, scegliere ogni anno all’interno del ricchissimo e variegato panorama del patrimonio culturale italiano, materiale e immateriale, quelle eccellenze da proporre al mondo intero come “Patrimoni dell’Umanità”. Eppure, un simile sforzo è assolutamente necessario come primo passo per diffondere la conoscenza, salvaguardare e valorizzare tale patrimonio: per questa ragione, il Consiglio Direttivo della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO sta valutando l’opportunità di creare una Lista nazionale del patrimonio culturale immateriale che, propedeutica all’iscrizione nelle più prestigiose Liste UNESCO, possa costituire un catalogo delle eccellenze italiane da tutelare prioritariamente in vista della loro trasmissione alle future generazioni.

Condizione essenziale per l’iscrizione alle Liste UNESCO, che distingue tra l’altro la categoria patrimoniale della cultura immateriale da quella del patrimonio “tangibile”, storico-artistico e monumentale, è infatti che l’elemento candidato sia sentito dalle comunità come parte integrante della propria cultura, storia e identità, e che sia un elemento ancora vitale – come recita la Convenzione del 2003 – ovvero che sia “trasmesso di generazione in generazione” all’interno delle comunità.

Quest’ultima considerazione investe direttamente la seconda, fondamentale, questione, quella inerente la formazione dei nuovi Maestri d’arte: in assenza, in Italia, di specifici programmi pubblici a sostegno della trasmissione diretta da maestro ad allievo nell’ambiente “informale” della bottega o del laboratorio, che siano paragonabili, ad esempio, alle politiche di salvaguardia promosse in Francia dal Conseil des Métiers d’Art, operante sotto l’egida del Ministero della Cultura, l’esistenza delle Scuole, degli Istituti e dei Centri, che questo volume porta all’attenzione di un vasto pubblico, costituisce la più valida azione di tutela delle nostre tradizioni artistiche e artigianali e, in alcuni casi, l’unico argine alla perdita definitiva degli antichi saperi della creatività italiana.

Per un Paese come l’Italia, dove i saper fare creativi – a tutti i livelli – coniugando nei secoli tecnica e creatività, precisione e fantasia, “regola” e “talento”, hanno saputo dare vita alla straordinaria realtà del Made in Italy, su cui poggia di fatto l’intero sistema delle esportazioni e la più lusinghiera immagine dell’Italia nel mondo, la perdita di un simile tesoro di conoscenze e competenze sarebbe devastante.

Per questo, tutelare, valorizzare e promuovere il Made in Italy significa oggi innanzitutto formare una nuova generazione di artigiani-artisti che possa mantenere, trasmettere e far evolvere le eccellenze italiane: una generazione meno precaria e meno ricattabile dalle crisi economiche, perché sempre più dotata e forte delle proprie competenze uniche e insostituibili.

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