DA PINOCCHIO IN POI

di

 

IL VALORE DEL MESTIERE

 

Come anticipato, pubblichiamo questa settimana il secondo contributo di Oliviero Toscani, personaggio dei nostri tempi che abbiamo già presentato e che non avrebbe bisogno di alcuna presentazione: nome celebre nel mondo della fotografia e della comunicazione, in questo articolo Toscani propone la sua visione, un po’ provocatoria, riguardo alla formazione dei giovani.

Ci parla del sogno di una scuola che “insegni a riappropriarsi dell’uso delle mani”.

Una scuola come “centro di vita”, propagatrice di energia, creatrice di stimoli positivi.

La scuola che vogliamo per i ragazzi beneficiari del Progetto AD HOC.

 

Si ringrazia l’editore Symbol per la cortese autorizzazione alla pubblicazione.
Articolo tratto dalla rivista “Mestieri d’Arte” n.4, dicembre 2011.

 

“Da Pinocchio in poi, ma forse anche prima del libro di Collodi, andare a scuola era un sacrificio. Ed era ugualmente un sacrificio mandare un figlio a scuola: Geppetto vendette la giubba per comprare un abbecedario al burattino di legno. La scuola, ma più ancora l’istruzione, era vista fino a poco tempo fa come un modo di emanciparsi. Per le classi più povere, soprattutto, un figlio a scuola significava più che altro una speranza: un mestiere diverso da quello dell’operaio o del contadino, un salto nella scala sociale.
I genitori riponevano nei maestri e nei professori una fiducia illimitata: nelle loro mani consegnavano una forma grezza, il loro figlio, aspettandosi di vedersela tornare indietro modellata. ‘Lo picchi signor maestro, lo picchi se non sta attento alla lezione’: non era raro sentir dire così da chi ancora nutriva soggezione verso l’autorità del maestro.
Si è un po’ imbarazzati oggi, quando un figlio chiede perché deve andare a scuola, perché lo mandiamo a scuola. Alla fine si studia per essere integrati e il figlio del contadino disimpara tutto ciò che suo padre aveva imparato e avrebbe potuto insegnargli. Si studia per appropriarsi di una monocultura che garantirà uno stipendio che, anche se alto, sarà comunque misero. Si studia per un futuro senza luce.
Oggi, il degrado che ha intaccato la scuola, al pari di ogni altra forma del vivere civile, impone una riflessione e una proposta provocatoria: bisognerebbe fare sacrifici per insegnare ai nostri figli a fare il contadino, o il falegname, o l’idraulico, o il fornaio. Qualunque sito didattico su Internet ci sbatte in faccia l’inadeguatezza della scuola attuale: dove perfino avere un computer è considerato un lusso. Le forme dell’apprendimento sono mutate, la velocità dei collegamenti rende obsoleto l’insegnamento tradizionale. Per di più, il diploma e la laurea creano disoccupazione, frustrando quindi le attese e le pretese di genitori e studenti.
Una scuola che insegni a riappropriarsi dell’uso delle mani, invece che instillare nozioni bruciate dal primo clic sul mouse di un computer aperto sul mondo, sarebbe una scuola altamente educativa. Immaginate un diciottenne che, invece di iscriversi a Scienze politiche, o a Lettere, o a Legge, si iscrive a Idraulica o a Falegnameria. Un ragazzo che, invece di frequentare il corso di stilismo al Fashion Institute si iscrive a Sartoria. Un altro che, invece di diventare Filosofo diventa Contadino (che è quasi la stessa cosa). E la corsa dei rampolli delle migliori famiglie a frequentare non le lezioni di Umberto Eco al Dams, ma quelle di un mastro muratore in un cantiere, quelle di un fornaio in panetteria, quelle di un meccanico in autocarrozzeria.
La scuola non deve più rubare braccia all’agricoltura per immettere sul mercato cervelli omologati, rassegnati a servire la burocrazia. La scuola dovrebbe essere un centro di vita e propagare un’energia che è difficile leggere nei volti degli studenti di oggi, nel loro abbigliamento, nelle loro fughe nelle playstation e nelle sale giochi”.

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