Un nuovo approccio per comprendere la povertà educativa

di Con i Bambini

Little boy in math class overwhelmed by the math formula.

È consapevolezza condivisa a tanti livelli che le azioni di contrasto alla povertà realizzate fino a oggi in Italia abbiano avuto pochissima incidenza sui nuclei familiari nella direzione dell’uscita dalla condizione di povertà. Ha prevalso più una logica di assistenza e di contenimento che, non solo ha lasciato le famiglie in condizione di indigenza, ma non ha saputo agire in modo risolutivo sull’interruzione della trasmissione generazione, sul futuro della nostra società: i bambini, con la loro comprensione della vita e il loro sguardo verso la loro crescita, le loro opportunità e la loro capacità di farsi artefice del proprio futuro.

Da molti anni nei luoghi dove si riflette sull’impatto del nostro sistema di welfare e sulle migliori strategie di contrasto alla povertà e di promozione della crescita, dei diritti e del benessere delle famiglie si è fatta strada una consapevolezza: qualunque intervento messo in campo deve partire dalla riattivazione dei potenziali dei soggetti coinvolti. Questo riguarda le famiglie nel loro complesso: i genitori nel generare una nuova capacità di produrre reddito e nell’essere protagonisti positivi dell’interruzione generazionale della povertà, i bambini da coinvolgere i percorsi educativi che puntino a condividere speranze, prospettive, strumenti, motivazioni, a restituire loro il diritto a partecipare al loro futuro e al futuro del contesto che abitano

I dati della povertà del 2016 pubblicati da Istat lo scorso 14 luglio vedono una nuova ulteriore crescita del dato della povertà minorile: 1 milione e 292 mila bambini in povertà assoluta nel nostro paese, il 14% in più del 2015, una crescita del triplo rispetto al 2005. Una crescita che sembra inarrestabile che non solo rimanda al tema dell’efficacia delle misure di contrasto alla povertà ma che deve indirci a portare nuovamente attenzione alle implicazioni future di questo fenomeno e al tema della povertà educativa.

Dall’analisi del fenomeno svolta in questi ultimi 20 anni di attività L’Albero della Vita ritiene che occorra concentrarsi, in materia di povertà educativa su tre aspetti, fondamentale per orientare interventi e misure politiche: lo sviluppo delle competenze più interiori dei minori, il lavoro integrato con le famiglie e la valutazione dell’impatto sociale.

L’aiuto educativo a bambini e ragazzi deve poter favorire la crescita delle loro competenze più interiori e trasversali (life skills): far fiorire consapevolezze, coltivare aspirazioni, indirizzare un atteggiamento proattivo verso la vita e verso il futuro, far comprendere come l’impegno e la visione possano generare cambiamento. Ma anche rafforzare la capacità relazionali, necessarie per la crescita in ogni campo della vita, così come le competenze più “politiche”, che partono dall’allargare lo sguardo sulla realtà in cui i bambini e i ragazzi vivono e che li possano condurre ad un atteggiamento partecipativo e a un protagonismo sociale.

La povertà educativa non si risolve dunque nella garanzia dell’offerta scolastica e formativa, pure centrali, e nell’offerta di beni educativi (libri di lettura, accesso a musei cinema, etc.). Occorre accompagnare l’intervento educativo con un lavoro profondo affinché i bambini inseriscano nella loro dimensione più intima nuovi dati.

Il vero cambiamento è infatti nel modo in cui si comprende la vita e ci si relaziona con essa, passando da un modello sostanzialmente reattivo ad un più proattivo ed intenzionale. All’educatore – genitore, insegnante, operatore sociale – il compito di offrire nuovi stimoli culturali, aprire finestre su nuovi elementi di realtà, ma soprattutto aiutare a compiere un gesto più difficile per l’essere umano: la generalizzazione. Il portare consapevolmente un cambiamento generato in un ambito della propria vita a vantaggio di altri campi. Il consolidarsi della nuova idea di vita e di una nuova capacità.

Lavorare con i bambini e con i ragazzi vuol dire anche moltissimo lavorare con le famiglie, consapevoli che il bambino acquisisce, soprattutto nei primi anni del suo sviluppo, al suo interno i “mattoni” con cui costruisce la sua visione della realtà. Il sistema famiglia deve essere quindi rafforzato nel suo insieme, aiutando i genitori nelle proprie competenze educative e stimolando la loro attivazione nel migliorare la loro condizione di vita, facendosi primi testimoni di quello che ai loro bambini spetta imparare.

Perché questo approccio d’intervento inneschi una effettiva spirale positiva e perché possa tramutarsi in azioni coerenti e davvero efficaci è centrale lavorare sulla misurazione dell’impatto sociale degli interventi sociali pubblici e del privato-sociale e delle misure pubbliche. Un’abitudine ancora tutta da creare nel nostro paese, che aiuterà tutti gli attori del welfare a vedere nel solo il beneficio immediato ma soprattutto l’impatto nel lungo periodo, dando senso agli investimenti e aiutando concretamente tutti gli interventi ad affinare il loro metodo e generale vero valore sociale-nel lungo periodo e per la buona salute degli investimenti economici messi in campo sarà necessario assicurarsi che l’aiuto fornito generi il risultato desiderato attraverso la misurazione e la valutazione di esito dell’aiuto e di impatto sociale.

Inoltre, la creazione di reti coinvolte fin dalla progettazione degli interventi permetterà di realizzare pratiche realmente radicate nel territorio e generative di un aiuto multidisciplinare, possibile soltanto grazie all’intervento di tutti gli attori in campo.

 

[Questo post è a cura di Ivano Abbruzzi (Presidente della Fondazione L’Albero della Vita Onlus): articolo originale su Huffington Post]

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