A Napoli i veri insegnamenti uniscono vita di scuola e di strada

di Con i Bambini

Quando si parla di povertà educativa è inevitabile inserirla nel novero delle “nuove povertà”, che vedono la povertà economica solo come una delle dimensioni che in qualche modo danno un senso alla povertà umana che oggi vivono i giovani.

Come spiegato bene da Elisa Badiali: “L’espressione ‘nuove povertà’ può essere riferita allora ad una condizione di vulnerabilità, intesa come senso di insicurezza ed instabilità, in cui si ritrova il soggetto con un percorso individuale incrinato dalla precarietà e fragilità, tanto a livello lavorativo quanto nelle relazioni sociali”.

Un senso d’insicurezza e fragilità che vivono i giovani, i loro genitori, i docenti, la società intera. Questo si traduce nell’incapacità, da parte degli adulti, di far crescere le nuove generazioni. È quindi una povertà umana, di relazioni, di significati, che impedisce a coloro che educano di avere cura delle giovani persone, che risultano sempre più appiattite, lasciate alla mercé di emozioni e sentimenti senza una guida, nel momento in cui ne hanno più bisogno.

Il termine povertà può essere quindi fuorviante, fa pensare che questo fenomeno sia relegato a realtà arretrate dal punto di vista socio-economico, mentre, come ci stiamo accorgendo nel nostro lavoro, questa situazione si riscontra trasversalmente in tutte le fasce e in tutte le zone della città di Napoli, dove i maestri di strada lavorano, ma anche nel resto di Italia, dove pure abbiamo ritrovato situazioni di questo tipo.

Se consideriamo come criterio per la presenza di povertà educativa, il criterio dell’insuccesso scolastico o della dispersione scolastica, possiamo provare a fare un stima che si attesta attorno al 50% dei giovani delle zone di Napoli in cui i maestri di strada lavorano. Se invece analizziamo la povertà educativa in senso più ampio, possiamo estendere il fenomeno ad una percentuale maggiore, che coinvolge non solo i giovani delle periferie o delle scuole cosiddette “di frontiera”, ma anche gran parte dei ragazzi e delle ragazze di zone non considerate a rischio.

Il fenomeno dispersione scolastica ad esempio, sta interessando negli ultimi anni anche quei ragazzi che a scuola vanno tutti i giorni, che prendono ottimi voti e che per i motivi più disparati lasciano improvvisamente la scuola, ritirandosi dalla vita sociale. Non sempre i giovani sono vittime di questa situazione, molto spesso sono attori dell’unica scelta che sembra loro possibile, di fronte alla tempesta di emozioni che vivono e che li mette in seria difficoltà, mancando loro una guida.

Ma chi sono questi ragazzi? In cosa credono, di cosa hanno paura, cosa sognano? Cosa cercano? Se cercassero qualcosa di ben definito saremmo a posto. La condizione giovanile è per definizione “errante”, la condizione in cui si sta se cercando senza sapere cosa. Se sapessi quello che voglio, non verrei da te a scuola. Il vero maestro non deve mettersi in cattedra per dare lezioni, ma deve essere capace di seguire il giovane nella sua “erranza” ed essere capace di guidarlo a trovare i legami giusti.

La scuola interagisce già con la strada, ma in senso negativo. La scuola di frontiera è quella che alza un confine con la strada, che permette di poter dire che tutto quello che succede nella scuola è buono e giusto, mentre tutto ciò che accade fuori è sbagliato. Uno dei nostri allievi ha espresso al meglio questo concetto:

Bisogna sapere la “vita di scuola”, ma bisogna sapere pure la “vita di strada”, pure quelli che studiano solamente e poi non escono o non fanno amicizia, non stanno tanto bene.

Il compito della scuola e degli educatori in generale non è quello di salvare i ragazzi dalla strada, ma quello di aiutare i giovani a crescere senza la paura di potersi perdere nella strada. La scuola ha bisogno di aprirsi al territorio, non solo nella formula delle “scuole aperte”, che sembrano più dei rifugi per salvare i giovani da ciò che di sbagliato dovrebbe avvenire in strada o in famiglia, ma un’apertura che sia sinceramente interessata al territorio e alle famiglie dei giovani studenti, che si prendono cura dei giovani nel momento in cui la scuola non c’è.

La comunità educante è al centro delle attività dei maestri di strada, il detto africano “per crescere un bambino ci vuole un villaggio intero” era già nostro, era nelle migliori esperienze educative, al cui centro c’è il legame tra il maestro e l’ambiente di vita dei ragazzi. Era così il maestro di Pietralata, era così il maestro Manzi anche se faceva lezione in televisione. L’educazione avviene per mandato di una comunità.

Ma dove è oggi la comunità? Si è in gran parte persa. I maestri di strada “educano il territorio” i ragazzi sono il pretesto per arrivare a quegli adulti che hanno perso la capacità di fare il loro mestiere, che è quello di far crescere le nuove generazioni. La società civile non dovrebbe sostituirsi al pubblico, e mettere le pezze dove non riesce; deve collaborare, essere da stimolo, ma non sempre riesce a cogliere le sirene e le richieste di aiuto che vengono dai nostri giovani. Eppure di sirene ce ne sono tante.

Il problema generale è: chi non cresce diventa dipendente. Dipendente da un padrone schiavista, da qualcuno che ti plagia, da chi ti passa una sostanza, alla fine anche da un camorrista. Quando parliamo di comunità parliamo di un’altra cosa, del fatto che ciascuno di noi cresce se è interdipendente, se sta dentro una relazione forte. Per quanto malandato sia un territorio ha una sua storia, e così le istituzioni presenti, le forme di associazione.

Fare rete è un imperativo categorico, rete non sono i protocolli che le istituiscono ma le concrete collaborazioni costruite nel tempo. Esistono alleanze educative che preesistono alle reti e senza di queste le reti non hanno vita. Associazioni e singoli cittadini che abbiano contribuito allo sviluppo di un progetto educativo territoriale dovrebbero essere valorizzati e soprattutto devono essere valorizzati coloro che fanno un lavoro educativo con metodo, professionalità e continuità.

Sulla carta Maestri di Strada è un’associazione che raggruppa una quarantina di professionisti, educatori, psicologi, esperti di diverse discipline, genitori sociali che lavora nella città di Napoli, attualmente nella zona Est, nei quartieri di San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli, ormai dal 2009, con i giovani a rischio dispersione scolastica o a cui semplicemente la scuola non piace.

Da qualche anno lavoriamo anche con i genitori, i docenti e tutti gli attori del territorio che a diverso titolo si occupano della cura dei giovani. Nella realtà i maestri di strada sono coloro che sognano i ragazzi come oggi non sono, un gruppo di adulti che resta in piedi accanto ai giovani, resistendo alle ingiustizie, alle assurdità e al dolore senza senso che ogni giorno ci troviamo ad affrontare.

Cerchiamo in questo modo di creare una comunità, una rete, che sia in grado di aiutare i giovani a crescere e allo stesso tempo che sia capace di espandersi e supportare se stessa, attraverso dei gruppi di riflessione, che quotidianamente ci permettono di interrogarci sull’efficacia del nostro lavoro e sulle condizioni per svolgere questo impegno al meglio. Per fare questo i maestri di strada raccolgono le risorse strada facendo, risorse che ritroviamo nelle menti e nei cuori delle giovani persone che ogni giorno incontriamo, ma anche in quelli di tutti coloro che hanno cura dei giovani quotidianamente.

I maestri di strada lavorano dal 2009 nella periferia Est della città di Napoli. Negli ultimi anni abbiamo iniziato a lavorare anche in alcune scuole del centro storico. Il nostro lavoro si svolge in stretto contatto con le scuole, almeno una decina quelle della periferia Est, con le quali collaboriamo da anni. Le persone che lavorano attivamente nell’associazione sono almeno 40, mentre in maniera più sporadica arriviamo a lavorare con un centinaio di operatori.

Ogni anno ci prendiamo cura di più di un centinaio di giovani napoletani ed entriamo in contatto con centinaia di giovani nel resto d’Italia, attraverso gli incontri di formazione che svolgiamo su tutto il territorio nazionale. Attraverso queste attività, lavoriamo con centinaia di docenti ogni anno, su diversi temi, prima entrando in classe con gli studenti e successivamente riflettendo con gli insegnanti. Inoltre organizziamo e partecipiamo attivamente a convegni nazionali e internazionali, svolgendo per lo più un lavoro di ricerca sulle metodologie e sulle condizioni per lavorare al meglio nel campo dell’educazione e dell’inclusione sociale.

 

Questo post è stato scritto insieme a Cesare Moreno, Presidente Associazione Maestri di Strada Onlus, e Federico Zaccaria, Dottore in Psicologia Scolastica e di Comunità.
Articolo originale su Huffington Post

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