Storie di ragazzi di vita. Il racconto di Adrien

di Con i Bambini

Foto di Warren Wong su Unsplash

Mi chiamo Adrian, adesso ho 20 anni e sono nato in una piccola città rumena. Ho vissuto lì per i primi anni della mia vita. Ricordo che la mattina andavo a scuola, poi al pomeriggio stavo spesso per strada con gli amici. Ero contento. Quando avevo otto anni, i miei genitori, che abitavano in Italia da tanto tempo, decisero fosse opportuno che anche io e mia sorella ci trasferissimo. Da una parte ero felice perché finalmente avrei potuto trascorre più tempo con loro, infatti quando ero ancora in Romania chiedevo sempre notizie su mia madre. Prima di allora, da quando ho memoria, ricordo di averla vista solo un paio di volte.  Per un altro verso ero dispiaciuto perché la mia vita era a Focsani.

Nel luglio 2005 sono arrivato in Italia. I primi giorni mi sentivo spaesato e disorientato: non parlavo la lingua, non conoscevo nessuno. A scuola un insegnante di sostegno mi aiutò ad imparare l’italiano e gradualmente riuscii ad inserirmi più facilmente nel nuovo ambiente. Tuttavia nello studio delle materie avevo grandi problemi. Dopo aver terminato le scuole medie mi iscrissi ad un corso per diventare meccanico. Abbandonai dopo pochi mesi perché capii che quel tipo di lavoro, in realtà, non mi piaceva. L’anno successivo mi iscrissi ad un corso di ristorazione biennale attivato presso un Centro di Formazione Professionale. All’ inizio l’idea mi piaceva, ma la mia frequenza in quel caso durò solo due settimane.

Se mi chiedete perché ho abbandonato (e me lo hanno chiesto molte volte) non vi so rispondere. Semplicemente non ci sono andato più.

Sicuramente ero più attratto dalla vita di strada. In quel periodo frequentavo un gruppo di ragazzi italiani e rumeni. Trascorrevamo la giornata in piazza, giocando a pallone e fumando canne. Uscivo la mattina da casa e rientravo la sera. Mia madre era arrabbiata, dispiaciuta e preoccupata. Non riusciva a capacitarsi del fatto che avessi lasciato il corso.  Io non davo peso alle sue parole, pensavo che avrei trovato lavoro anche senza un attestato. Quando mi diceva di pensare al mio futuro, di darmi da fare, l’assecondavo a parole ma poi da un punto di vista pratico non facevo nulla. In realtà non avevo idea di che lavoro potessi fare e nemmeno di cosa veramente mi piacesse.

Iniziammo poi ad avere problemi economici.

Mio padre, a causa di un problema di salute, aveva praticamente smesso di lavorare.  Solo mia madre portava a casa soldi. Io ormai ero grande e non volevo essere un peso, pensavo di dover fare qualcosa. Un giorno, con gli 80 euro che avevo in tasca, comprai del fumo per poi rivenderlo. Alcune persone che conoscevo lo facevano e così pensai: “proviamo, vediamo come va”. In poco tempo mi creai un piccolo giro e iniziai a guadagnare bene. Potevo comprare dei vestiti senza chiedere soldi a mia madre. Mi sentivo forte, importante. Ero diventato un piccolo leader e avevo rubato la piazza agli altri ragazzi.

Non mi sono reso conto in quel momento che adulti criminali mi stavano sfruttando e utilizzando rimanendo puliti. Mia madre non sapeva nulla della mia attività, mi vergognavo a dirglielo e avevo paura che lo potesse scoprire. Io non ne parlavo e lei non faceva domande. Continuai così per un mesetto.

Poi un giorno cui cambiò la mia vita, lo ricordo particolarmente bene. Era una giornata molto fredda. Ero in piazzetta con due miei amici. All’improvviso arrivarono tre pattuglie dei carabinieri. Gli agenti ci chiesero i documenti. Io non li avevo con me. Domandarono allora se avessi “qualcosa addosso”. Impaurito, confessai di avere una canna. Vedendo il terrore sul mio volto capirono che c’era dell’altro. Mi chiesero di accompagnarli a casa mia.

Durante il viaggio nella volante, la cosa che più mi preoccupava era il pensiero che mia madre, di lì a poco, avrebbe saputo tutto.

Non sapevo che reazione avrei avuto. A casa i carabinieri trovarono l’attrezzatura che utilizzavo per confezionare e vendere il fumo. Io mi misi a piangere, mia madre era disperata, disse che non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere. Gli altri parenti erano tutti agitati. Dopo qualche minuto i carabinieri mi portarono in caserma. In quei momenti pensai che mi ero rovinato la vita ed ero dispiaciuto del dolore che avevo causato alle persone a me care e in particolare a mia madre. In caserma compilarono il verbale poi, in una struttura a Frascati, mi fecero le foto di identificazione e presero le mie impronte digitali. Poco dopo mi riportarono a Roma, ad un “CPA”.

I tre giorni successivi, trascorsi al Cpa, furono terribili. Ricordo le finestre alte, la poca luce, i pensieri drammatici e i sensi di colpa che mi tormentavano.

Persi 5 chili in pochissimo tempo, poi stetti male a lungo, ci vollero mesi per riprendermi dallo shock.

Successivamente venni preso in carico da una assistente sociale. Mi spiegò che, per poter avere la cancellazione del reato, avrei dovuto fare alcune cose. A giugno mi disse che l’anno successivo avrei potuto seguire un corso di formazione presso il Centro Accoglienza Minori. Io avevo capito di aver fatto un grande errore ed ero motivato a seguire le indicazioni dell’assistente sociale. Tuttavia non avevo la minima idea di quale percorso formativo intraprendere.

Fu così che, nel mese di luglio, incontrai per la prima volta il responsabile del Centro. Mi spiegò il funzionamento della struttura e mi disse che avrei potuto scegliere quale corso seguire. Io ero indeciso fra “Ristorazione” e “Giardinaggio ed orticoltura”. Sono sempre stato indeciso su tutto. Alla fine mi inscrissi a quello di Ristorazione. Tuttavia non sapevo a quel punto se seguire il percorso di “Cucina” o quello di “Sala-bar”. Alla fine gli operatori mi aiutarono a propendere per il secondo. Volendo essere sinceri, vista la mia estrema difficoltà nella scelta, quasi decisero loro.

Dopo una fase di accoglienza e conoscenza, a ottobre iniziai le lezioni con gli altri ragazzi. Mia madre era contenta, perché finalmente stavo studiando, per poter prendere un attestato e vedeva in me dei cambiamenti.

Per me all’inizio fu difficile alzarmi presto la mattina, non ero più abituato. Allora lei, quando vedeva che rimanevo a letto oltre il previsto, veniva in camera a svegliarmi. Da questo punto di vista mi seguiva passo passo. Nei primi tempi al corso mi sentivo un po’ a disagio poiché non conoscevo nessuno.

Inoltre ero preoccupato rispetto a come potesse andare l’anno. L’ inizio delle attività pratiche poi fu quasi traumatico. Il giorno in cui la responsabile della mensa mi chiese di mettere la divisa di sala per fare il servizio ai clienti mi prese il panico. Non avevo fatto mai nulla di simile, ero timidissimo. Vedevo tutte quelle persone, ero imbarazzato e non sapevo che fare e che dire. Ci volle un po’ per acquisire più sicurezza. A metà novembre poi, d’ improvviso, pensai di abbandonare il corso. Mi dicevo che lo studio non faceva per me. Per una settimana non frequentai le lezioni e andai a lavorare con mio zio che effettuava consegne. Capii subito però che non avrei potuto fare quel lavoro per tutta la vita e così decisi di tornare al Centro in modo da riuscire a prendere un attestato. Da quel momento in poi non avuto più dubbi rispetto al fatto di portare a termine il percorso. Non capivo il senso di studiare alcune materie ma gli operatori mi seguivano con pazienza e io mi sono impegnato. Il Centro mi ha aiutato ad acquisire sicurezza sul lavoro. A mensa il rapporto con i clienti è migliorato sempre più. Ero meno ansioso, più a mio agio, più abile e rapido nei compiti.

Anche la timidezza è un po’ diminuita. Non ho fatto amicizia con tutti i compagni ma ho acquisito più facilità nel socializzare. Per quanto riguarda lo studio nelle simulazioni di esame la prova più complicata era quella di italiano. Prima di iniziare a scrivere rimanevo per un’ora con il foglio bianco davanti perché ero sempre indeciso su quale traccia scegliere.

Il corso comunque proseguiva abbastanza bene.

Una mattina di marzo, poi, inaspettatamente, i responsabili mi chiamarono in disparte e mi proposero un colloquio per un possibile lavoro in un bar situato al centro di Roma.

Mi emozionai. Ero sorpreso che mi avessero fatto questa proposta e che mi ritenessero adatto al ruolo.

D’altra parte provavo ansia rispetto al colloquio pensando a come sarebbe potuto andare. Mi spiegarono allora che, anche se fosse andato male, l’esperienza di fare un colloquio sarebbe stata importante, considerata la mia timidezza. Nei giorni seguenti mi aiutarono facendomi fare delle simulazioni. Alle domande rispondevo: “Eh non lo so boh…”.

Sembravo molto indeciso e questo in un colloquio non andava bene. La simulazione mi fu d’aiuto perché poi, quando feci il colloquio con il responsabile del bar, riuscii ad esprimermi abbastanza bene nonostante l’agitazione. Non mi aspettavo comunque che mi avrebbero ricontattato dato che avevo poca esperienza e non conoscevo bene l’inglese.

Pochi giorni dopo stavo attraversando un piccolo parco e camminavo verso casa.

Mi arrivò una chiamata proveniente da un numero sconosciuto. Era il responsabile del bar. Mi disse che mi avevano selezionato per fare una prova. Ero contento perché sarebbe stata la mia prima prova di lavoro con una vera e propria azienda. Il giorno della prova al bar ricordo che ero ansioso. Non sapevo cosa avrei fatto e chi mi avrebbe valutato. Avevo paura di sbagliare qualcosa, facevo le cose con un po’ di lentezza. Andò comunque bene. Nei giorni successivi mi richiamarono altre volte ed infine, a maggio, mi proposero di fare un tirocinio.

In quel periodo raccontavo a mia madre quello che succedeva al bar, le difficoltà che incontravo, i giudizi che dava il responsabile sul mio lavoro…

Lei mi consigliava di impegnarmi molto, perché sapeva che se fossi andato bene avrei potuto continuare a lavorare al bar. Io sono diventato progressivamente più sicuro anche nel rapporto con i clienti e sono entrato sempre di più nel ruolo professionale.

Contemporaneamente, nel mese di giugno, ho sostenuto l’esame finale del corso di ristorazione presso una scuola alberghiera. Durante le prove ero abbastanza tranquillo. In inglese e matematica non ho avuto particolari difficoltà. La prova di italiano è stata un po’ critica ma, dopo la classica mezz’ora persa per scegliere la traccia, sono stato rapido nello scrivere. La prova pratica consisteva nell’allestimento di una sala. All’inizio io e i miei compagni abbiamo avuto delle difficoltà, poi il servizio è andato meglio, eravamo più tranquilli. L’orale è durato abbastanza poco. Ho dovuto rispondere alle domande dei professori delle diverse materie ma a tutti sono riuscito a dire qualcosa. Sono riuscito così a conseguire l’attestato di “Commis di sala-Bar”.

A settembre c’è stato il processo e mi hanno concesso di fare la “messa alla prova”. In un certo senso, comunque, l’avevo già fatta l’anno precedente.

Ricordo che il giudice, una donna anziana, mi ha detto di avere fatto un bel percorso. Io stesso, mi rendevo conto di aver fatto un cammino positivo.

A cura dell’Osservatorio Salesiano per i Diritti dei Minori

https://minorididiritto.org/

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